Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Santa Cristina sorse il 31 maggio 1691, data in cui il feudo omonimo fu concesso in enfiteusi a 82 agricoltori arbëreshë provenienti da Piana degli Albanesi, che onde evitare continui spostamenti, decisero di colonizzare la zona. Si trattava di un insediamento a carattere stagionale, che assegnava ai contadini albanesi le terre del fondaco, ivi compresa una chiesetta in cui officiare il proprio rito bizantino.
Il feudo di Santa Cristina, nuovo nome della più antica "Terra di Costantino" menzionata nel Rollo di Monreale (1182), fu donato dal Conte Ruggero dei Normanni all'Arcivescovo di Palermo, a cui gli albanesi dovettero rivolgersi. Essi si stabilirono su un insediamento rurale (masseria o bicocca) preesistente, tipica del periodo della dominazione araba in Sicilia. Tale nucleo originario, l'antico baglio, con successivi apporti, è ancora leggibile in piazza Umberto I, mentre l'adiacente piazza Mariano Polizzi, attuale piazza principale, in antico costituiva il màrcato, lo stazzo per gli armenti.
Tuttavia la reale fondazione di Santa Cristina, dell'Erranteria del Salice e del Pianetto, va ricondotta al 1747, anno da cui si ha documentata traccia della effettiva presenza e del consolidamento del nucleo abitativo arbëresh e di una nuova concessione enfiteutica accorpata a favore dei Naselli, Duchi di Gela, che vi esercitarono la signoria baronale sino all'abolizione del sistema feudale in Sicilia (1812).
Gli abitanti di Santa Cristina portarono con sé la lingua, gli usi ed i costumi dei propri avi albanesi stanziatisi in Piana degli Albanesi, nonché il rito bizantino-greco gelosamente conservato delle comunità arbëreshë.
Nel 1818, con Legge Organica del Regno delle Due Sicilie estesa ai domini borbonici "ultra Farum", da frazione di Piana degli Albanesi diviene Comune e continua a denominarsi Santa Cristina. Il nome odierno "Santa Cristina Gela", richiamando l'eponimo dei Naselli fondatori, viene sanzionato dopo l'unità d'Italia al fine di evitare le molte omonimie riscontrate nel territorio del nuovo Regno d'Italia.
L'atto di concessione enfiteutica ai Gela, per le particolari clausole in esso contenute, costituiva "licenzia populandi", talché seguirono i "bandi di popolazione", cui risposero gli abitanti delle Terre viciniori: Piana degli Albanesi in particolare e in parte Altofonte, questi in buona parte integrati al contesto locale. Ne risultò una comunità mistilingue e mistireligiosa, dove in ogni modo prevalse la parlata albanese e si conservò per oltre un secolo il "rito greco" della maggioranza, oltre a usi e costumi degli avi albanesi. Essi continuano così a mantenere la loro particolarità etnico-linguistica e religiosa, quest'ultima fino alla seconda metà del XIX secolo.
Fino al 1840, come risulta dai registri parrocchiali, la maggior parte dei fedeli di Santa Cristina seguiva il "rito greco"; i pochi "latini" forestieri erano assistiti da un loro cappellano che vi si recava saltuariamente, servendosi dell'unica chiesa officiata dai "greci"[4]. In quel tempo, però, l'arciprete Papàs Gaetano Arcoleo, padre del celebre oftalmologo Giuseppe Arcoleo il cui ricordo è affidato ad una lapide marmorea all'interno della chiesa Madre, per motivi di carattere strettamente personale (si narra di un mancato supporto agli studi del figlio del papàs da parte del clero per entrare nel Seminario Italo-Albanese di Palermo), passò volutamente al rito latino. Con lui, gradualmente, alcune famiglie di Santa Cristina cominciarono a seguire il rito romano, con il tracollo locale del rito greco-bizantino.
I rapporti con Piana degli Albanesi, in quanto "città madre", sono in genere buoni, ma non sono mancati in passato screzi dovuti alla perimetrazione dei rispettivi territori comunali nel 1842. In verità, Santa Cristina Gela si è sempre sentita legata a Piana degli Albanesi, come dal suo più connaturale centro maggiore, a motivo della sua origine, per la tradizione linguistica e le comuni costumanze arbëreshe, cui si aggiunge, dal 1937, la medesima appartenenza all'Eparchia bizantina Italo-Albanese di Sicilia.
Ciò di fatto non ha precluso, durante gli anni, l'officiarsi di cerimonie liturgiche in rito bizantino secondo l'uso antico, in lingua albanese o greca, in occasione delle visite pastorali dell'eparca, le quali, in genere, avvengono il 24 luglio, giorno in cui si celebra la festa in onore della santa patrona.
Su proposta di alcuni attenti fedeli parrocchiani, tra il 1990 e il 1995, si è cercato di riportare la chiesa maggiore all'ufficiatura della divina liturgia, secondo il rito bizantino originario di Santa Cristina. Sfumato l'intento della possibile occasione bi-rituale, sacerdoti dell'eparchia, come l'intellettuale Papàs Gjergji Schirò, si occuparono fermamente delle traduzioni in albanese della messa latina e dei riti romani, ma queste non vollero esser a suo tempo adottate, di fatto, dai parroci succedutisi.
Nel 1990, su delibera consiliare, a seguito ed esempio dei comuni albanesi di Calabria, si è proposto di cambiare il nome comunale in un più appropriato "Santa Cristina Albanese". In lingua arbëreshe presenta i toponimi: Sëndastina o Sëndahstina.