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::Chiesa SS Pietro e Paolo di Agro a Casalvecchio Siculo » Storia

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Un gioiello unico di architettura arabo normanna.


Chiesa SS Pietro e Paolo

Chiesa SS Pietro e Paolo

Piantina



Eretta nel Val Demone sulla sponda sinistra della fiumara di Agrò, a 3 Km dal comune di Casalvecchio Siculo, si staglia, maestosa, circondata da lussureggianti agrumeti, 'la più importante opera architettonica dell'intera vallata, dal quale prende il nome. Una Chiesa, testimonianza di una civiltà di molti secoli fa e simbolo di un’epoca che sapeva identificarsi nell’arte e nella cultura. Un punto di riferimento per i turisti in cerca di spunti fotografici, per appassionati d’arte e di architettura, per studiosi ed uomini di cultura, che, in questa Chiesa trovano un capolavoro che "...per il suo pregio artistico viene considerata fra i più interessanti monumenti della Sicilia e, senza esagerazioni, del mondo" (come commenta il Prof. Pietro Lojacono, sovrintendente alle belle arti di Catania, nel 1960).
Sembra che la struttura originaria sia stata realizzata intorno al 560 dai Frati Basiliani, ma venne totalmente distrutta dagli arabi alcuni secoli dopo.
Per quanto un’iscrizione in greco antico incisa sull'architrave dell'ingresso principale rechi la data del 1172, è verosimile che essa vada riferita ad un intervento di restauro voluto dall'architetto Gherardo il Franco a seguito del rovinoso terremoto che colpì tutta l’area siculo-calabra nel 1169.
Nell'epigrafe si legge: " fu ricostruito questo tempio dei SS. Pietro e Paolo da Teostericto Abate di Taormina a proprie spese. Possa iddio ricordarlo nell’ anno 6680 (1172). Il capo mastro, Gherardo il Franco ".
Come giustamente osserva il Lojacono, l'architetto francese indubbiamente apportò nuovi ed esclusivi elementi stilistici ed architettonici ma su un organismo costruttivo, cioè su una struttura, già esistente. Il corpo principale della Chiesa sarebbe, dunque, opera di un architetto rimasto ignoto, che ha saputo fondere in un perfetto connubio elementi di arte bizantina, araba e normanna.
La struttura attualmente visibile risalirebbe pertanto al 1117 al tempo del regno di Ruggero II, su richiesta del monaco Gerasimo, divenutone il primo abate. La conferma della data di riedificazione viene dal "Diploma di Donazione",scritto in lingua greca , conservato nel Codice Vaticano 8201, e tradotto in latino da Costantino Lascaris nel 1478, con il quale Ruggero II nel 1116 ne dà concessione agli stessi frati. In questo documento si legge, infatti, che il Re, ritornando da Messina a Palermo, durante una sosta in Scala S. Alexi (l’attuale S. Alessio S.), fu avvicinato da un monaco venerabile, Abate Gerasimo, che chiese al giovane sovrano la facoltà e le risorse per riedificare (erigendi et readificandi) il monastero sito in fluvio Agrilea. Ruggero II concesse ai frati basiliani il permesso di riedificare la Basilica nel luogo dove sorgeva già da vecchia data, essendo stata saccheggiata ed abbattuta durante l’invasione araba. Fu fatta, quindi, ricostruire col Monastero basiliano adiacente nel 1117, grazie alla magnanimità del Re normanno.
Dal diploma di donazione si evince inoltre che il monastero fu dotato di alcuni redditi fissi: estesi campi di querce, di pascoli, alberi da frutto. Gli fu addirittura concessa la completa proprietà di un intero villaggio il Vicum Agrillae (l’attuale Forza d'Agrò) con assoluto potere da parte dei monaci su ogni oggetto o abitante di tale villaggio. In particolare era obbligo agli abitanti di detto villaggio di portare "due galline al monastero nelle feste di Natale e di Pasqua nonché la decima sulle capre e sui porci”. Si disponeva che il monastero fosse fornito ogni anno di otto barili di tonnina della tonnara di Oliveri e che ogni merce diretta al monastero fosse libera da ogni gravame di tasse.
Era inoltre concesso all’Abate del Monastero il diritto del foro e cioè quello “di giudicare e di condannare, e la potestà sopra di quelli che, colti in delitti, potevano essere legati e flagellati e rimanere con i ceppi ai piedi, riservando la pena per l’omicidio alla Curia Regale”. Per tali pene l’Abbazia pagava la locazione del carcere sito in Casalvecchio ( “carcerem in Casali Veteri”) Con tali poteri si equiparava quindi la figura dell’Abate del Monastero dei Ss Pietro e Paolo a quello di un barone normanno del tempo.
L’anno 6680 corrisponde nella cronologia greco- bizantina appunto al 1172 in quanto gli anni si computavano dall’origine del mondo che, per i greco-bizantini, risaliva a 5508 anni prima della venuta di Cristo. Da quel restauro la chiesa non subì altre modifiche ed è giunta a noi praticamente intatta, al contrario del circostante Monastero di cui rimangono solo pochi resti e qualche edificio recentemente oggetto di un lavoro di restauro
Oltre ai due Abati su citati Gerasimo e Teostericto, si conoscono i nomi di altri 26 Abati che si sono succeduti nel corso dei secoli, fra i quali l'Abate Fra Simone Blundo, palermitano e il successore un certo Abate Fra Bessarione, greco, nel 1449 che ha diritto di voto nel parlamento siciliano e che fu nominato Cardinale da Nicolò V. L'ultimo Abate Nicolò Judice, fu nominato Cardinale da Benedetto XIII l'11 giugno 1725). Il Monastero della vallata di Agrò fu un centro notevole di vita spirituale, sociale ed economica.
Esisteva qui una ricca biblioteca ove i monaci basiliani studiavano ed insegnavano. I missionari si prodigarono a farlo divenire un centro di studi scientifici, artistici, umanistici e di sperimentazioni agricole. Per più secoli, proprio questo luogo , fu sede culturale fra le più importanti del messinese. Purtroppo, la parte più rilevante della biblioteca, costituita da preziosi codici manoscritti, miniati e libri antichissimi, furono portati via dagli spagnoli, dopo la repressione, a causa della fallita rivolta messinese contro la Spagna. Alcuni manoscritti e pergamene si trovano oggi presso la Biblioteca Regionale Universitaria di Messina. Una parte delle opere custodite nella biblioteca costituito da preziosi codici manoscritti miniati del secolo XI e XII, precisamente in numero di 35, sono stati recentemente ritrovati in Spagna, presso il monastero di S. Lorenzo all’ Escuriale ed altri alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Si tratta di una scoperta rilevante che testimonia l’importanza storica e culturale di questa già invidiabile opera architettonica.
L’ampio territorio che il monastero controllava era molto ricco di varie colture e allevamenti ed era dotato di vari mulini per la produzione di farine e derivati. Abbondava la produzione di vino e olio. Di tali ricchezze prodotte dal Monastero ne beneficiava anche il paese di Casalvecchio Siculo (“Casale Vetus”) che viveva gravitando intorno alle attività del monastero stesso. Nel corso dei vari secoli il Monastero dei SS Pietro e Paolo d’Agrò e la chiesa di S. Onofrio di Casalvecchio svolsero il ministero pastorale in unità d’intenti con la “Gran Corte Archimandritale di Messina” la quale concedeva all’Abate del “venerabile Monastero dell’Abatia dei SS. Pietro e Paolo d’Agrò, su richiesta della Matrice dell’Università di Casalvecchio sotto il titolo di S. Onofrio, di poter condurre processionalmente la Reliquia di detto S. Onofrio...in una delle due processioni...” ( Liber actorum, 1705, Archivio della “Gran Corte Archimandritale di Messina”). Dai registri del 1328 si apprende della presenza di sette monaci e di dieci nel 1336. Dopo secoli di permanenza nel monastero i frati furono costretti a richiedere il trasferimento ad altra sede. Infatti in quel luogo l’aria era diventata insalubre e quasi irrespirabile a causa dell'acqua imputridita del Agrò proveniente dalle coltivazioni di lino che lungo in fiume era massicciamente ed intensamente coltivato, ma soprettutto a causa del sopraggiungere di epidemie.
La richiesta di trasferimento fu accolta dall’Archimandrita di Messina e dal re Ferdinando IV e la sede Abbaziale del Monastero dei SS Pietro e Paolo fu trasferita a Messina nel 1794 presso il convento dei PP. Domenicani di S. Girolamo (poi completamente distrutto nel terremoto del 1908). In seguito la chiesa venne praticamente abbandonata e per molti anni servì addirittura da deposito per attrezzature contadine. Tale stato di totale abbandono ed incuria durò fino agli anni ‘60 del secolo scorso, visitata solamente da studiosi dell’architettura medievale sia italiani che stranieri. Solo negli anni ‘60 fu ripulita , fu oggetto di varie campagne di restauro conservativo, riaperta al culto, e alle visite turistiche. Attualmente, l’ampio convento è interessato da un intervento di ristrutturazione ad opera della Sovrintendenza dei Beni Culturali di Messina, con l’intento di riportarlo all’antico splendore.
La chiesa è stata oggetto di numerosi studi nel corso degli anni da parte di vari studiosi fra i quali i già citati Stefano Bottari e Pietro Lojacono (sovrintendente alle belle arti di Catania, nel 1960), E.H Freshfield, Antonio Salinas, Ernesto Basile ed Enrico Calandra.
Il professore Bottari così scrive tra l’altro "la bizzarra policromia, ottenuta per mezzo del mattone, della lava e della pietra bianca, adoperati per la costruzione ed intrecciati armoniosamente, acquista allo snello edificio una fisionomia veramente suggestiva e pittoresca ... esso è a tre navate terminate da tribune semicircolari rivolte ad oriente. L’abside centrale è esternamente rettangolare. Nelle varie campate del suo tetto, nel senso, cioè, dell’asse della chiesa, si ammirano due cupolette con all’interno accenni di soffitti a stalattiti ..." lo stesso rileva che "dal lato architettonico, dopo le grandi cattedrali, il monumento più complesso della Sicilia normanna è costituito dalla chiesa dei santi Pietro e Paolo d’Agrò e che essa si pone come l’esempio più significativo e perfetto di tutta la serie di costruzioni basiliane della nostra Sicilia".
Recentemente è stato proposto ufficialmente all'UNESCO di inserire tale monumento nell'elenco dei beni artistici patrimonio dell'umanità. La chiesa è facilmente raggiungibile percorrendo la strada provinciale che da Casalvecchio porta verso Antillo e seguendo le indicazioni immettendosi, subito dopo Casalvecchio, sulla strada, recentemente allargata ed asfaltata, che conduce direttamente al sito.
Descrizione architettonica
La chiesa ha l'aspetto di una chiesa fortificata con il classico orientamento della parte absidale ad est. Il suo aspetto ed il coronamento di merli indicano senza dubbio la funzione di fortezza che ha dovuto sostenere nei vari secoli. Ha caratteristiche molto simili a quelle che si possono riscontrare nelle grandi cattedrali coeve di Cefalù e Monreale e manifesta evidenti richiami alle costruzioni di area fatimita a cominciare dalle due cupole di differente altezza, entrambe sorrette da tamburi cilindrici.
Architettonicamente rappresenta uno dei monumenti siciliani più complessi caratterizzato dall'intrecciarsi dei vari stili del tempo: lo stile bizantino, lo stile arabo e lo stile normanno. Un sincretismo culturale che ha prodotto un'opera architettonica che a detta di alcuni studiosi potrebbe rappresentare il primo esempio di protogotico, più propriamente un esempio lampante di elementi architettonici diversi uniti in un'unica struttura, che al suo interno contengono e assemblano gli elementi principali e quindi lo stile artistico-costruttivo del normanno e dell'arabo. Tali elementi fusi assieme creano le linee guida del protogotico.
La pianta è la risultanza della riuscita fusione tra il tradizionale schema basilicale a tre navate con transetto triabsidato e quello centralizzato di ascendenza bizantina.

In particolare per lo stile bizantino si possono notare:
- la decorazione delle facciate con strette lesene terminanti con archeggiature incrociate
- struttura a mattoni con ornati a spina-pesce e a zig-zag e anche nella decorazione della facciata con strette lesene terminanti con archeggiature incrociate;
- la particolare policromia delle membrature architettoniche;
- la sagoma dei pulvini insistenti su capitelli a paniere;
- la croce di tipo bizantino incisa nella lunetta sovrastante la porta d'ingresso.

Per lo stile arabo: - le caratteristiche archeggiature sovrapposte che sorreggono la cupola minore del presbiterio; tale cupola si sviluppa con un tamburo ottagonale con otto finestre;
- la forma terminale curva delle merlature ed il sesto rialzato degli archi;
- la forma delle cupole e il terminale chiaramente di stile arabo delle stesse.

Per lo stile normanno si può notare:
- la planimetria a tre navate con l’ingresso fiancheggiato da due torri molto simile alle grandi cattedrali normanne di Cefalù e Monreale;
- il portico posto fra le due torri dell’ingresso (oggi rimaste mozze).

Particolarmente curato è l’aspetto coloristico esterno, reso possibile oltre che da ben precise scelte estetiche anche dalla relativamente facile reperibilità di pietra lavica e di marmo rosa cavato dalla zona della vicina Taormina. Il risultato è quanto mai vivace anche per via dei differenti materiali utilizzati e delle diverse tecniche messe in campo. I muri, di arenaria, calcare, pietra lavica, tufo, cotto, pomice, in mattoni rossi, bianchi e neri che si rincorrono sulle pareti e nelle archeggiature delle facciate formano motivi decorativi semplici ed eleganti unici nel loro genere, che, trasferendosi anche all’interno, sottolineano la lineare essenzialità delle colonne monolitiche sormontate dai capitelli, che segnano le navate.Lo stesso Prof. Stefano Bottari così la descrive: “La bizzarra policromia, ottenuta per mezzo del mattone, delle lava e della pietra bianca, adoperati per la costruzione ed intrecciati armoniosamente, acquista allo snello edificio una fisionomia veramente suggestiva e pittoresca...”.
Il complesso sistema di lesene e di archi intrecciati che ne percorrono le superfici esterne impreziosiscono l’aspetto dei paramenti murari , riducono l’effetto di struttura fortificata che deriva, oltre che dagli squadrati volumi esterni, anche dalle merlature che coronano l’edificio. Non sappiamo se in origine fossero presenti decorazioni o altro però è difficile pensare che nel corso dei secoli non fossero stati presenti degli affreschi.
La navata centrale è chiusa da un tetto a capriate e si raccorda alla cupola maggiore attraverso un complesso gioco di archi progressivamente aggettanti. In particolare lungo la navata maggiore si elevano due cupole: una più alta ed ondulata a spicchi, l’altra, nell’area del transetto, più bassa ed a pianta ottagonale. Quattro dovevano essere in origine le cupolette della Chiesa: due sulle torricelle del prospetto (oggi scomparse), una sopraelevata su un tamburo al centro della navata, sorretta da quattro colonne ed alta mt 17,22, ed una sul transetto, sorretta da due pilastri e da due semipilastri terminali, ed alta mt 15,10.

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