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::Riserva Naturale Orientata Pizzo Cane, Pizzo Trign a Ventimiglia di Sicilia » Storia

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Ove son or le meraviglie tue
O regno di Sicilia? Ove son quelle
Chiare memorie, onde potevi altrui
Mostrar per segni le grandezze antiche?

(Dal Fazello - Storia di Sicilia,
deca I,lib. VI,cap.I)



Riserva Naturale Orientata Pizzo Cane, Pizzo Trign

Riserva Naturale Orientata Pizzo Cane, Pizzo Trign




Da Palermo percorrere la A19/ E 90 fino all'uscita di Casteldaccia, quindi imboccare la SP 16 in direzione Baucina-Ventimiglia di Sicilia. Dopo circa 25 Km si arriva alle pendici di Pizzo della Trigna.
Oppure da Palermo percorrere la A19/E 90 fino all'uscita di Termini Imerese imboccare la SS285 per Caccamo, a circa 5 km sulla destra scendere per la Diga Rosamarina, passare sulla Diga e la galleria annessa, dopo 2 km circa (strada sterrata) deviare a destra su una stradina che conduce alla SP e che fiancheggia l'entrata delle riserva e le aree attrezzate.
Questo massiccio montuoso presenta non soltanto rocce calcaree dovute al sedimentarsi di gusci e scheletri di animali nei fondali dell'antichissimo mare dell'epoca mesozoica, ma anche la presenza di pareti silicee, organizzate in lamelle parallele frammiste ad elementi incoerenti (scisti) formatesi per l'accumulo lentissimo e costante nei secoli di gusci di microorganismi (diatomee e radiolari) e di spugne silicee nei fondali marini. Non solo: su Pizzo Cane, all'interno dei calcari, esistono intrusioni di rocce vulcaniche che arrivano ad affiorare.
La storia geologica di queste montagne si legge anche in certi spaccati murali in cui affiorano scisti silicei colorati e variegati, in cui il reticolo di fratture racconta gli effetti delle forze tettoniche che incessantemente sottopongono la crosta terrestre a sollevamenti, spostamenti e torsioni. L'area si presenta, quindi, soggetta all'erosione dovuta agli agenti atmosferici che hanno portato sia allo sviluppo di formazioni superficiali, tra cui il reticolo di corsi d'acqua stagionali, sia alla formazione di cavità come le tre grotte più significative già citate nell'introduzione. Di queste, la Grotta Brigli riveste un interesse di tipo speleologico: si presenta ricca di concrezioni e panneggi calcarei lungo i cunicoli e le sale. La Grotta del Leone ha importanza dal punto di vista ecologico perché al suo interno vive una comunità di Iberidella minore, pianta che cresce nelle grotte abitate dal bestiame.
Dalla lettura del paesaggio, quindi, emergono diversi tipi di ambienti naturali: quello rupestre, quello vallivo costituito da boschi, quello prativo e di gariga e quello umido, lungo il corso dei torrenti. L'ambiente rupestre è, di per sé, aspro e difficile, ospita diverse piante endemiche o rare che si trovano solo in determinate aree della regione o della provincia. Le ripide pareti quasi verticali presentano riflessi rosei o bianchi e sono ferite da anfratti formatisi nella nuda roccia, che ospitano arbusti o cespugli rustici capaci di colonizzare e adattarsi a questi ambienti inospitali. Si tratta dei cespugli rotondeggianti dell'euforbia arborea che macchia di smeraldino le pareti in inverno (in estate perde le foglie dopo aver subìto delle variazioni cromatiche che da verdi mutano sino ad assumere un magnifico colore rosso fuoco), dell'olivastro e dell'immancabile leccio. Si trovano anche numerose altre specie come il cavolo rupestre o il ciombolino siciliano, dalla corolla lilacina, altre euforbie come quella del Bivona-Bernardi (più evidenti nei pressi della Grotta Mazzamuto) e la coniza rupestre.
Flora
I boschi naturali sono lembi relitti costituiti da leccio, da quercia da sughero e da querce caducifoglie, frammisti ad orniello, acero campestre e, più raramente, ad acero trilobo. In questo bosco mediterraneo, il sottobosco ospita cespugli di rosacee tipici della macchia mediterranea: pero mandorlino e rosa sempreverde. Ma anche di biancospino comune, di erica arborea, di ginestra spinosa e di citiso trifloro (un arbusto che somiglia alla ginestra).
Una presenza molto interessante e significativa è quella dell’agrifoglio nelle parti sommitali, che forma una boscaglia insieme al leccio. Sul manto erboso del sottobosco crescono anche il ciclamino primaverile, dalle foglie variegate e dalle corolle fucsia, e la rosa peonia, dalle bellissime corolle rosate o bianche venate di porpora. Là dove il bosco si dirada ci sono macchie arbustive in cui appare anche il lentisco ed altre piante non presenti nel bosco, tra cui, persino la palma nana. Queste macchie colonizzano anche le zone semirupestri e sono formate da piante che resistono al pascolo, all’aridità e agli incendi come ad esempio l’euforbia arborea, l’olivastro ed il lentisco. Come un mare che lambisce questi isolotti di vegetazione arborea ed arbustiva, ecco la prateria che nei tratti più rocciosi ed assolati assume l’aspetto di steppa ed è caratterizzata dai grandi cespi dell’ampelodesma.
Fauna
L’habitat rupestre è il regno del falco pellegrino, abilissimo cacciatore d’uccelli, ma anche dell’aquila reale. Un tempo queste pareti ospitavano i nidi del capovaccaio, piccolo avvoltoio migratore chiamato anche Pasqualino, perché i primi arrivi in Sicilia avvengono nel periodo di Pasqua. La sporadica presenza del capovaccaio, pulitore d’ossa grazie al becco sottile e specializzato, è indice del decadimento della rete alimentare, problema ormai diffuso dappertutto in Italia.
Per il resto, le solite presenze legate a questo tipo di ambienti naturali: nel folto del bosco si trovano cince, formidabili insettivori, e lo scricciolo. Sui tronchi, il frenetico rovistare di picchi rossi maggiori e rampichini alla ricerca di cibo.
Tra i predatori sono presenti la donnola e la martora, ma anche il gatto selvatico e la volpe. Nelle aree fra bosco e prateria trovano cibo e rifugio anche roditori, tra cui il grosso istrice, e lucertole (campestre e siciliana), ramarri e serpenti come il colubro liscio, il biacco e la vipera.

La lepre appenninica:
In questa riserva vive una consistente popolazione di lepre appenninica (Lepus corsicanus De Winton 1898). Presenza di eccezionale importanza perché questo animale, considerato sino a qualche anno fa una sottospecie della lepre europea, pare sia una specie a se stante che vive nelle piccole valli d'alta montagna e nelle aree di macchia mediterranea. Da ricerche condotte a livello genetico, si è potuto stabilire che la lepre appenninica è un endemismo (cioè una specie che vive solo in determinate aree geografiche) del nostro Paese e specificatamente dell'Italia centro-meridionale, della Sicilia e della Corsica, anche se ancora non è stato determinato se possa essere considerata una specie a se stante. Lo zoologo Mario Lo Valvo già nel 1997 riportava la presenza di questo animale in Sicilia. Attualmente la lepre appenninica è un animale "a rischio" per via della concorrenza con le lepri europee introdotte a scopo venatorio, nei suoi stessi habitat. Non è facile distinguere le due specie fra loro: le differenze sono poche e riguardano colorazioni specifiche del pelo in alcuni punti del corpo (nuca, coscia e sfumatura laterale). Sono ancora in corso gli studi mirati a disegnare una mappa della distribuzione della lepre appenninica, delle sue abitudini e della sua biologia, cercando i caratteri distintivi rispetto alla lepre europea e osservando cosa accade in quei luoghi in cui, pur essendo presente la nuova specie, sono stati introdotti a scopo venatorio individui dell'altra.
La storia, il paesaggio e l'uomo
La riserva, una delle più interessanti della provincia di Palermo, da un lato domina il versante ovest del golfo di Termini Imerese; dall'interno si affaccia su una zona di grande varietà geomorfologica e naturalistica, dove è visibile l'impronta che l'uomo ha lasciato fin dai tempi più antichi.
Nella Grotta Mazzamuto sono stati, infatti, rinvenuti importanti reperti che testimoniano la sua presenza in queste zone, già nella preistoria. Nel XII sec. quest'area era fertile e ricca di colture, come testimonia il geografo Idrisi. In questo tratto della Sicilia interna, dove predominano le colture estensive di frumento, tra i sec. XVI e XVII, furono creati grossi borghi agricoli che hanno subìto un lento abbandono, soprattutto tra l'800 ed il '900, come è accaduto a Baucina e a Ventimiglia di Sicilia, territori in cui ricade l'area protetta con caratteristiche diverse dagli altri comuni della riserva, che si trovano sulla costa. Altavilla Milicia deve il suo primo nome a Roberto Altavilla, detto il Guiscardo, che nell'XI sec. edificò, nei pressi dell'odierno paese, una chiesa per celebrare la vittoria contro i musulmani: Santa Maria di Campogrosso o San Michele, la Chiesazza come viene chiamata nei dintorni. I resti della costruzione e del vicino monastero si trovano dopo il ponte ad unica arcata, probabilmente coevo, che attraversa il torrente S. Michele. Notizie su Caccamo sono state date quando si è raccontato di Monte S. Calogero. Casteldaccia, borgo sorto intorno al 1700, è conosciuta per l'attività di trasformazione dei prodotti agricoli: pasta, olio e vino sono ben noti localmente, ma questo piccolo centro è diventato famoso nel mondo grazie alle cantine Duca di Salaparuta. Trabia, l'"at tarbi'ah" (la quadrata) del XII sec., era un centro ricco di mulini e di acque. Nel '300 vi fu impiantata una tonnara che ha smesso di lavorare nel 1971, successivamente trasformata in complesso alberghiero. Nei pressi si trova il Castello, del quale sconosciamo la data di fondazione, ma che ancora oggi conserva in buono stato le parti principali dell'edificio.

Emergenze paesaggistiche

Grotta Mazzamuto: interesse archeologico.
Grotta Brigli: interesse speleologico.
Grotta del Leone: si apre sul versante Ovest di Pizzo Cane.

Visto da Monte Carcaci, nell’area di Prizzi e Castronovo di Sicilia, il massiccio di Pizzo Trigna appare immenso e fa da sfondo all’orlo gessoso delle Serre di Ciminna, che costeggiano la depressione valliva naturale che si offre allo sguardo dell’osservatore. è questa una delle riserve più estese e presenta una serie di caratteristiche ambientali che la rendono molto interessante da molteplici punti di vista: geologico, botanico, faunistico e paletnologico.
Insieme a Monte San Calogero, sulla costa di Termini Imerese, questi rilievi rappresentano il logico anello di congiunzione fra i monti di Palermo e le Madonie. L’imponente massiccio (che con Pizzo Trigna raggiunge i 1.257 m s.l.m.) sovrasta un’ampia vallata, una sorta di altipiano esteso su cui scorre un ricco reticolo di ruscelli e corsi d’acqua che si incanalano nel Vallone Corvo. Data la natura calcarea delle montagne, anche queste presentano fenomeni di erosione carsica, sia superficiale che profonda, che hanno dato origine anche a tre grotte: la Grotta Mazzamuto, dall’imponente ingresso, di chiaro interesse archeologico (qui si sono insediate comunità rupestri in epoche protostoriche); la Grotta Brigli (o Brigghi o dei Berilli) che assume un valore più squisitamente speleologico e, infine, la Grotta dei Leoni. Qui risiedono presenze faunistiche e botaniche di importante valore ecologico e tutta l’area testimonia il silenzioso e paziente intreccio dell’opera dell’uomo con la natura dei luoghi.
(tratto dal sito Dipartimento Azienda Regionale Foreste Demaniali)



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