Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Porta urbica meridionale
Mendolito è un sito archeologico alle pendici sud-occidentali dell’Etna, a 8 km dall’odierna città di Adrano.
La fondazione della città anellenica, uno dei più importanti centri siculi della Sicilia, viene fatta risalire all'XI-IX secolo a.C..
L’insediamento si sviluppò in un'ansa del fiume Simeto tra Adrano e Centuripe, su un terrazzo basaltico presso la riva orientale del Simeto e occupa una superficie di circa ottanta ettari, superiore anche se di poco , a quella di Megara Hyblaea e addirittura doppia di quella di Naxos.
Le eccellenti possibilità di approvvigionamento idrico e la fertilità dei suoli vulcanici giustificano la scelta e l’occupazione del sito nell’antichità. Il luogo ricco di vegetazione e al sicuro da attacchi da parte dei nemici era un luogo ottimale per far sorgere una città. La sua grande estensione sembrerebbe deporre a favore di una occupazione territoriale di tipo paganico (dal termine latino pagus: “villaggio”), cioè per gruppi sparsi di case tra i quali sono da immaginare ampi spazi di terreno utilizzati dalla comunità indigena per scopi legati alla sussistenza, destinati al pascolo e alla coltivazione. L’insediamento indigeno è stato da alcuni identificato con la città di Piakos, in base al rinvenimento di alcune rare monete; l’ipotesi tuttavia, benchè suggestiva, necessita di conferme ed approfondimenti.
Fu un importante centro per la lavorazione dei metalli e, oltre la cinta muraria, le porte e le tracce di capanne, ci ha lasciato una necropoli dalle caratteristiche sepolture a “cupoletta “, e inoltre ci ha conservato le più lunghe, seppure non ancora spiegate, iscrizioni sicule della Sicilia nord-orientale.
“ Uno dei massimi centri dell' archeologia indigena della Sicilia”: così Bernabò Brea definì la città del Mendolito, alla luce delle preziose testimonianze archeologiche ritrovate
Intorno al V secolo a.C. la città fu abbandonata dai suoi abitanti, pare in coincidenza con la fondazione del nuovo centro di Adranon (oggi Adrano), sorto a circa 8 km da Mendolito e costruito per volontà del tiranno Dionisio I di Siracusa.
L'insediamento era già noto fin dal XVIII sec. da Vito Amico e tuttavia l'importanza della località si svelò agli studiosi soltanto alla fine dell'Ottocento e dei primi decenni del Novecento, attraverso l'opera di un erudito locale, il prevosto Salvatore Petronio Russo che identificò nel sito l'antica città Simaethia.
La contrada fu ripetutamente visitata in seguito dall'archeologo Paolo Orsi, grande studioso trentino, che nel primo sopralluogo al Mendolito il 2 aprile 1898, vide subito l'importanza del sito: capitelli scolpiti in pietra lavica, terrecotte architettoniche, vasi, iscrizioni.
Nel 1908 all'interno di una grande giara dentro il perimetro urbano, nel fondo Ciaramidaro, fu rinvenuto casualmente un ripostiglio di bronzi databile tra la fine dell'VIII e la prima metà del VII sec. a.C.,Il deposito è il secondo in Italia per quantità, ed è costituito prevalentemente di pani di bronzo (sorta di lingotti), di splendidi cinturioni bronzei in lamina sbalzata, forse ornamento di armature e di armi da guerra, di asce, coltelli, fibule. Fu dapprima disperso nel mercato antiquario e poi acquistato da Paolo Orsi per conto del Museo Archeologico di Siracusa.
Numerose le ipotesi avanzate riguardo la presenza di un così cospicuo lotto di metalli in una città indigena: la più recente è che il deposito fosse riferibile ad una fonderia connessa ad un santuario, probabilmente sotto il controllo politico della comunità indigena.
Dall'area del Mendolito proviene anche una statuetta bronzea raffigurante un banchettante, piccolo capolavoro di età arcaica (530 a.C.),il celebre “Efebo ”.
Custodito ed esposto presso il Museo archeologico regionale "Paolo Orsi" di Siracusa fu ritrovato in contrada Polichello. L'efebo di Adrano è un bronzetto alto 19,5 cm in stile severo, del 460 a.C., che raffigura un atleta nudo, attribuito da alcuni studiosi a Pitagora di Reggio, il grande scultore autore di diverse statue di atletici, forse emigrato da Samo in Magna Grecia agli inizi del V secolo a.C. oppure ritenuto copia, in scala, di una sua opera.
La cinta muraria
Le prime campagne di scavo effettuate nel 1962-1963 dalla Soprintendenza Archeologica di Siracusa ( sotto la direzione di Paola Pelegatti) nella città del Mendolito, hanno riportato alla luce alcune case arcaiche, la porta urbica e si è potuto esplorare un tratto meridionale della cinta muraria, fortificazione interamente realizzata con pietre laviche di grosse dimensioni non lavorate, che presentava due paramenti con riempimento interno a sacco costituito da pietrame più minuto.
La fortificazione doveva circondare la città sui lati Nord, Sud ed Est, lasciando sguarnito il lato occidentale, difeso naturalmente da alte pareti rocciose. Durante gli scavi si rinvenne la porta urbica meridionale fiancheggiata da due torri con pianta a ferro di cavallo databile alla seconda metà del VI sec. a. C. Il ritrovamento nel vano della porta, compreso tra le due torri, di uno strato di tegole di copertura cadute fa ipotizzare la presenza di una sorta di tettoia al di sopra dell’apertura tra i due bastioni.
Nello stipite orientale della porta era inserito il famoso blocco in arenaria, oggi conservato presso il Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi” di Siracusa, recante un’importante iscrizione in lingua anellenica (non greca). Si tratta di una scriptio continua graffita da destra a sinistra sulla faccia esterna del blocco. Disposto in due righe e ad andamento sinistroso, è il più lungo ed importante testo siculo finora conosciuto, ancora di controversa interpretazione e databile alla seconda metà del VI sec. a.C. E' chiaro ,comunque, che essa, rivolta a coloro che giungevano alla città del Mendolito entrando dalla porta urbica meridionale, dovesse avere carattere pubblico e autocelebrativo per la comunità indigena (se ne conoscono altre, sia nello stesso territorio di Adrano sia in centri della Sicilia orientale e centrale ma sempre solo di carattere privato e funerario).
Le case e gli edifici pubblici
Resti di abitazioni, databili tra il VI ed il V sec. a. C., furono scoperti dalla Soprintendenza di Siracusa nell’ambito delle campagne di scavo del 1962-1963. Altri dati si possono desumere dagli scavi condotti dalla Soprintendenza di Catania nel 1988-1989, durante i quali si sono messe in luce nuove porzioni di abitato. In un caso è stato individuato un grande edificio allungato a pianta rettangolare, disposto in senso Nord-Sud e diviso in quattro ambienti di diversa estensione, separati da tre muri divisori interni.
I muri erano realizzati completamente a secco con impiego di pietre laviche di diverse dimensioni. L’edificio doveva essere coperto da un tetto rivestito da tegole di terracotta. L’adozione della pianta rettilinea e l’utilizzo di un tipo di copertura stabile dimostrano l’acquisizione in età arcaica, da parte di questo e di altri centri indigeni della Sicilia, di tecniche edilizie di tipo greco, più idonee a garantire l’isolamento delle abitazioni dagli agenti atmosferici esterni.
Prima dell’arrivo dei Greci, infatti, le popolazioni indigene erano solite abitare in capanne a pianta ovale o circolare, provviste di coperture fatte in materiale deperibile (paglia e fango). Quasi nulla purtroppo si conosce degli edifici di culto e di carattere pubblico, nonostante al Museo di Adrano siano esposti alcuni importanti elementi architettonici in pietra lavica. Si tratta di tre capitelli, di cui uno ispirato allo stile dorico e due a quello ionico, e di alcune porzioni di colonne a sezione ottagonale. Inoltre da ritrovamenti di superficie sono noti vari tipi di antefisse. Le più numerose sono quelle a testa femminile, ma non mancano esemplari a protome leonina e gorgonica.
Sulla localizzazione di questi edifici all’interno dell’insediamento poco si può affermare, anche se Paola Pelagatti riferisce di avere rinvenuto nello scavo del 1962 alcuni dei resti architettonici sopra menzionati nell’“interno della porta”.Tale indicazione permetterebbe di ipotizzare la presenza di qualche edificio di culto o di carattere pubblico nel settore meridionale della città antica all’interno della cinta muraria, in prossimità della porta urbica.
I dati di scavo sembrano fissare la piena fioritura di questo centro nel VI sec. a.C. ma resta ancopra inesplorato, l'impianto urbano, le aree sacre, ancora ignoto il nome, anche se qualcuno, con il conforto della numismatica, ha voluto identificarlo con l'antica città indigena di Piakos. Ancora da precisare, infine, i rapporti con la città greca di Adranon, l'insediamento nato nel 400 a.C., per volontà, secondo Diodoro Siculo, di Dionigi il Vecchio, a pochi chilometri di distanza, su un'altura sovrastante il corso del Simeto.
L'operazione che porta alla nascita di Adranon , il cui sito si trova nell'abitato dell'odierna Adrano, è certamente di grande valenza strategica e segna il rafforzamento dell'egemonia siracusana nella zona. Tra gli scopi primari il controllo della corso del Simeto e quello della città sicula di Centuripe.
Il sito prescelto fu quello in cui sorgeva da tempo il santuario di una tra le più potenti divinità sicule, Adranos.
Le necropoli e i corredi funebri
A sud della città del Mendolito, in località Sciare Manganelli, si conservano i resti di alcune tombe con una struttura a pianta circolare o ovale interpretate come "tholoi" da Paolo Orsi forse di lontane ascendenze elladiche, con corredi riferibili a più deposizioni. Paolo Orsi dopo averle viste e disegnate, ne propose un elevato in pietre laviche non lavorate disposte in filari concentrici, gradualmente sporgenti l’uno sull’altro, in modo da formare un’elementare pseudocupola.
Paola Pelagatti condusse nella medesima area una campagna di scavo negli anni 1962-1963. Durante tali ricerche furono individuate 15 tombe simili a quelle viste da Orsi, costituite da un unico ambiente di forma circolare o ovale al quale si accedeva attraverso un breve dromos (corridoio). Le tombe erano costruite direttamente sul banco lavico e risultavano destinate ad accogliere più individui appartenenti quasi certamente alla stessa famiglia.
Per tale motivo gli oggetti rinvenuti al loro interno appartenevano a diversi corredi, composti da ceramiche di produzione locale dello stile di Licodia Eubea, associate con esemplari di importazione greca, numerosi oggetti di bronzo ed alcuni scarabei pseudo-egizi in faÎence. I materiali permettono di affermare che la necropoli era in uso tra la seconda metà del VII ed il V sec. a. C.
Importante è il rinvenimento dei materiali egittizzanti perchè testimonia una certa vivacità del centro coinvolto in scambi commerciali con il mondo orientale.
Resta aperto il problema delle origini di queste tombe, la cui forma a tholos, spesso collegata a modelli funerari egeo-micenei, è stata recentemente messa in dubbio per la mancanza di dati certi sull'elevato, conservatosi solo nei filari più bassi.
Le cosiddette tombe a tholos non sono gli unici tipi di sepolture presenti al Mendolito. In proprietà Stissi è stata rinvenuta una deposizione alla “cappuccina” di tipo greco della prima metà del V sec. a. C.
Al VII sec. a. C. sono invece da assegnare alcune sepolture di bambini molto piccoli rinvenuti all’interno di contenitori di terracotta, deposti al di sotto dei pavimenti delle abitazioni. L’usanza di seppellire neonati nell’abitato e non nella necropoli potrebbe indicare che in questo centro indigeno l'infante fosse ritenuto privo di individualità sociale e giuridica. Per tale motivo la sua morte riguardava solo la famiglia e non l’intera comunità.