Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Il territorio di Licodia Eubea si estende su di una zona collinare, ad un livello compreso tra i 600 e i 700 metri, nella fascia alta che dal Monte Lauro al colle su cui sorge Caltagirone dà origine al displuvio, da una parte verso la piana di Gela, dall'altra verso la piana di Catania. Il centro abitato sorge sui costoni rivolti a mezzogiorno del colle Castello e del colle Calvario a circa 600 metri s. l. m. L'intero territorio di Licodia presenta importantissime testimonianze di frequentazione umana che dalla preistoria arrivano fino all'Alto Medioevo. Con una delibera del 28 ottobre 1871 il Consiglio Comunale decise di aggiungere il nome di Eubea a quello di Licodia, ritenendo che il luogo fosse da identificare con la colonia fondata dai Calcidesi di Lentini, secondo la testimonianza tramandata da numerosi storici come il Cluverio, il Maurolico ed altri. L'identificazione fu però definitivamente esclusa da P. Orsi, che fondò la sua tesi sui dati raccolti durante gli scavi sistematici da lui operati su tutto il territorio di Licodia. La sua ipotesi è accolta dalla maggioranza degli studiosi (Vallet, De Miro), ma ultimamente ( E. Tomasello,1989) i ritrovamenti nella necropoli di Sarpellizza, dove la presenza di ceramica di importazione greca anche calcidese, databile a metà circa del VII secolo, risulta costante e quantitativamente significativa, hanno costituito un argomento valido per l'identificazione dell'attuale Licodia Eubea con la colonia calcidese Euboia.
Le testimonianze archeologiche sono particolarmente abbondanti per il periodo siculo-ellenizzato e per quello del tardo impero romano ed oltre. Meno documentata, invece, la fase che intercorre fra questi due periodi, attestata dalla dispersione ceramica di periodo classico rinvenuta nei campi di Pizzo del Corno, negli scarichi della costa d'Idria e nell'Orto Quadro, dai materiali utilizzati per la costruzione del sepolcreto di via Cordova e dai risultati di uno recente scavo (1985) operato in via S. Pietro, nel centro della città, che ha portato alla luce due vani, posti a due livelli diversi, collegati da sei gradini, databili, attraverso il materiale ceramico rinvenuto sul piano di calpestio, tra la fine del V e il IV secolo a. C. Il patrimonio archeologico licodiese è dunque particolarmente ricco ma attualmente poco valorizzato, pur presentando grosse potenzialità: di grande interesse risultano essere le testimonianze pertinenti il periodo preistorico e protostorico.
Preistoria
Numerosi sono i ritrovamenti che testimoniano la presenza dell'uomo in epoca preistorica: il Neolitico è ben testimoniato dallo studio di Ippolito Cafici sul villaggio S. Cono e dai rinvenimenti di via Capuana (1991), dove sono presenti tracce di capanne, strumenti in selce e ceramica di "Stentinello", "di Diana" ma soprattutto della cultura di "Serra d'Alto".
Il periodo è attestato anche in contrada Marineo, dove sono ubicate una serie di grotte, la cui frequentazione va dal Neolitico medio all'età protosorica.
Il II millennio è documentato dai vasi trovati sulla collina del Calvario da P. Orsi e dallo strato preistorico con frammenti appartenenti allo "stile Castellucciano" individuato durante gli scavi condotti in via S. Pietro;
Centro siculo ellenizzato
Il centro è testimoniato da numerosissime necropoli che per la loro consistenza fanno pensare ".. non ad un semplice villaggio ma ad un borgo antico di rilevante estensione " (P. Orsi). Le prime esplorazioni sistematiche furono quelle di P. Orsi che, partendo dalle scoperte effettuate dal La Ciura all'inizio del XIX secolo e dietro le indicazioni del Cannizzo, fece una ricostruzione topografica dell'anonimo centro arcaico, racchiuso tra le due elevazioni del Castello (probabile acropoli) a sud, e del Calvario a nord. L'area pubblica (agorà) doveva trovarsi nella pianura antistante il colle della Piazzisa. Sul colle Belvedere, in contrada S. Venera, doveva trovarsi invece il luogo di culto per la dea Venere, verso cui i Siculi nutrivano una particolare devozione e il cui nome è rimasto nella toponomastica. Il centro siculo ellenizzato ebbe il suo primo sviluppo urbanistico seguendo la spinta da sud verso nord concentrandosi ai piedi del colle Castello in un'area corrispondente a quella del Borgo, più ampia verso sud, e lungo il crinale che congiunge il colle Castello al Calvario. Secondo Orsi durante la penetrazione greca il forte centro rappresentava il punto di incontro dei Corinzi di Siracusa sulla sinistra del Dirillo, dei Doro-cretesi di Gela sulla destra dello stesso fiume e dei calcidesi a nord, costituendo un valico ".. di molta importanza militare e commerciale nelle comunicazioni fra i Geloi ed i Camarinesi cogli Ioni di Catania e di Lentini...". Sull'ipotesi di identificazione del centro con la colonia calcidese di Euboia si veda quanto detto sopra.
Necropoli sicule
Le necropoli sicule sono concentrate quasi completamente a sud ed a nord dell'odierno abitato, delimitando l'anonimo centro arcaico che coinciderebbe, anche se non del tutto, con la moderna Licodia. A sud si trovano le necropoli di Sarpellizza, Piazzese, Bianchette e Scifazzo; a nord le necropoli del Calvario, di Perriera e di Vigna della Signora.
Sarpellizza
La contrada Sarpellizza si estende su di una collina ad ovest-sud-ovest del centro di Licodia Eubea, pressoché di fronte alla contrada Bianchette.
Contrada Sarpellizza
Sul piccolo altopiano che sovrasta la suddetta collina dovevano aver avuto posto un buon numero di tombe a fossa, delle quali non vi è più traccia a causa delle escavazioni clandestine. Lungo il pendio est del colle, a ridosso della casa dell'ing. L. Vita, è stato esplorato un residuo lembo di quella che in origine doveva essere una vasta necropoli. Sono state riportate alla luce (1988/89) 21 tombe, alcune delle quali multiple. Le tombe 1,4 e 6 rappresentano la fase ellenistica, tutte le altre sono riferibili alla colonia greco-indigena. I corredi di queste ultime sono costituiti per lo più da vasi locali e ceramiche di importazione, pochi oggetti metallici (di bronzo o di argento) e frammenti di gioielli, pietre dure, oggetti d'ambra. I vasi locali sono per lo più anfore o scodelloni monoansati, con decorazione dipinta di stile tardo-geometrico locale (tipo "Licodia Eubea"). Fra i prodotti importati sono presenti due kotylai protocorinzie e vasi di probabile provenienza euboica. Tra questi ultimi notevole una oinochoe in cui, su un fondo con decorazione a "pettine", se ne sovrappone una a vernice nerastra di tipo "Licodia Eubea", presentando dunque una decorazione di tipo locale su un prodotto importato. Presenti anche due piccole oinochoi argive. Nelle tombe ellenistiche i caratteristici unguentari sono quasi sempre della fase media. I rinvenimenti ceramici di importazione greca associati a quelli di produzione locale potrebbero costituire un argomento valido in favore dell'identificazione dell'attuale Licodia con la colonia calcidese Eubea.
Piazzisa
Nella valle "Piano del Passo" dominata dalla collina del castello si eleva il colle della Piazzisa, che dà il nome alla contrada posta a tre chilometri a nord-ovest di Licodia Eubea. Su una terrazza naturale, raggiungibile dalla strada 38/III che dal paese porta alla S. S. 194 Catania-Ragusa, in prossimità del torrente "Fiumicello", sono state rinvenute le tracce di una necropoli cristiana, segnalata per la prima volta dal prof. V. Cannizzo nel 1908. Il terreno di natura calcarea fu sfruttato in precedenza dai Siculi che lasciarono nella zona una piccola necropoli databile al V secolo a. C. , vicina alle necropoli sicule dello Scifazzo e di Sarpellizza.
Bianchette
La contrada Bianchette, che si estende a sud-ovest dell'odierno abitato di Licodia Eubea, a circa un chilometro da questo, fu oggetto di studio da parte di V. Cannizzo, che attraverso una serie di scavi sistematici individuò una necropoli sicula, caratterizzata da forme sepolcrali a fossa e camerette isolate, che restituirono abbondante materiale vascolare di stile geometrico siculo, di fattura locale. La struttura architettonica delle tombe è simile a quella delle necropoli dello Scifazzo ed anche quelle della collina del Calvario, propria delle sepolture dei coloni greci. Un'attenta indagine sul terreno ha anche rilevato la presenza di una piccola necropoli tardo-romana impiantatasi ai margini di quella sicula, che testimonia la continuità della frequentazione in quest'area. Due piccole camere ipogeiche si sono individuate sotto il ciglio della antica trazzera regia che portava verso la contea di Modica, nei pressi della chiesetta rurale del Bianchetto, che prende il nome della contrada. Il primo ingrottamento è stato riutilizzato per la costruzione di una casetta colonica, cancellando i segni dell'originaria destinazione cimiteriale della grotta. Sulla sinistra della casa ricade il secondo ingrottamento, più piccolo del precedente. Nel terreno vicino al piccolo ipogeo si sono recuperati numerosi frammenti ceramici pertinenti alla limitrofa necropoli greco-sicula e databili al VI-V secolo a. C.
Scifazzo
A quattro chilometri a sud del centro urbano di Licodia, presso la rotabile Licodia-Comiso ricade una necropoli che ha dato importanti gruppi di sepolcri. Poche le tombe a fossa, che contenevano, solitamente, due scheletri, mentre la maggior parte erano a camera rettangolare, con sepoltura collettiva. Il ritrovamento di molto vasellame di fattura greca, nonché l'assenza di vasi a tre manici (idrie), usati dai Greci come contenitori d'acqua, e la grande quantità portata in luce, invece, dalla necropoli urbane della collina del Calvario, indusse P. Orsi, che si occupò di quest'area, a ritenere i sepolcri dello Scifazzo più antichi di quelli di Licodia, ovvero risalenti al VII secolo a. C., quando l'anonimo centro siculo dovette avere il suo incremento demografico, dovuto all'arrivo di altri Siculi, spinti verso l'interno dell'isola dall'avanzata dei greci. I nuovi arrivati portarono i segni tangibili dei contatti con i greci: ceramica ed oggetti metallici d'importazione; nuove tecniche di manipolazione e di lavorazione della creta; lo stile della decorazione geometrica. L'anteriorità di questa necropoli rispetto quelle del Calvario ha fatto ipotizzare uno sviluppo del centro siculo ellenizzato da sud verso nord, dal quartiere del Borgo verso il Calvario, lo stesso avvenuto secoli dopo, nel 1600.
Calvario
La collina del Calvario, esplorata dall'Orsi nei primi anni del Novecento, diede il più ricco materiale ceramico con una particolare decorazione geometrizzante che lo studioso definì "Stile di Licodia Eubea". Il colle risulta fittamente ricoperto di sepolcri, per lo più a camera e a pozzetto di vario tipo, costituendo una vastissima necropoli che continua senza interruzione lungo i due fianchi della collina sul lato nord e su quello nord-est. Non lontano dalla chiesa del Calvario, in terreno di proprietà Tramontana, sono state scoperte nel 1989 22 sepolture scavate nella roccia, già conosciute da P. Orsi. I corredi sono costituiti per lo più da ceramica greca di VI, V e IV secolo a.C. Le singole tombe (tutte multiple) presentano differenze nei particolari architettonici. Da sottolineare il ritrovamento di un chiusino tombale, decorato con 6 lettere incise sulla fascia inferiore (si tratta di lettere greco-arcaiche) e un tentativo di decolorazione in rilievo di fiori di loto e spirale. I ritrovamenti ceramici rinvenuti in questa area indicano una frequentazione che va dal VII al VI sec. a.C., ad esclusione di un gruppetto ceramico rinvenuto sulla cima della collina che testimonierebbe la presenza di gente indigena già verso il XIX secolo a.C.
In fine, lungo i fianchi del colle e nelle propaggini delle contrade Perriera e Fontanella sono da rilevare numerose grotte "bizantine". Due di queste, poste l'una di fianco all'altra e divise da una sporgenza rocciosa larga più di 2 m., presentano la volta di copertura a botte molto ribassata. Non è da escludere che qualche grotta più spaziosa fosse adibita a luogo di culto e riunione della povera gente del luogo. Questo attesta una frequentazione del sito dalla preistoria fino in epoca bizantina, confermando l'importanza strategica della sua posizione.
Perriera
Costituisce la continuazione della necropoli del Calvario, sul lato ad oriente ed a mezzogiorno dello stesso colle, e a sua volta si congiunge con la necropoli di "Vigna della Signora".
Perriera: tombe sicule
Le tombe ritrovate sono per lo più del tipo a forno scavate ai piedi di un pozzetto artificiale ed altre a camera rettangolare. Il vasellame è con decorazioni del Geometrico sia di fattura indigena che di fattura greca. Il materiale metallico molto pregevole, è di fattura esclusivamente greca.
Vigna della Signora
Nella contrada che si estende ai piedi del colle Calvario, sul lato sud, ricade una vasta necropoli, proseguimento di quella del Calvario, alla quale si congiunge attraverso quella della Perriera. Furono portate alla luce (1902 ) tombe a forno, a camera rettangolare e loculi, mancano le tombe a fossa. La ceramica rinvenuta è sicula, tuttavia le tombe appartenevano sia alla civiltà sicula che a quella greca compresa tra il VII e il V secolo a. C. Il materiale metallico è esclusivamente greco. Da riferire a questa necropoli anche il ritrovamento di due lapidi, precipitate nel fondo di un sepolcro a fossa con due loculi. Una delle due pietre venne trasportata al Museo Archeologico di Siracusa, l'altra rimase a Licodia (oggi è dispersa). L'iscrizione riportata sulla lapide del Museo di Siracusa attesta l'adozione da parte dei Siculi non soltanto dell'alfabeto ma anche del costume greco dell'iscrizione funeraria, confermando così la penetrazione a Licodia da parte dei greci della pianura leontina e dei greci della zona geloa e camarinea.
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