Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Acitrezza ha una storia che risale all'epoca della dominazione spagnola in Sicilia anche se i resti di un bastione, una costruzione quadrata a due piani, potrebbero risalire a tempi più antichi.
Si nota che nel lato ovest aveva una bassa apertura e che al piano superiore si accedeva da scale esterne, stante l'assenza di passaggi interni. L'interno, alto circa 25 metri, culmina in una volta a botte.
Ci sono notizie di un altro bastione più grande, usato come serbatoio d'acqua, oggi, purtroppo, scomparso. Queste costruzioni potrebbero essere state due antichi fortilizi, costruiti con tecnica mista e l'impiego della pietra lavica e potrebbero aver fatto parte di un sistema di difesa avanzata a ponente e a levante.
La lava del 1169 ha, però, distrutto ogni resto delle difese di ponente, salvando gli avamposti di levante.
Agli inizi del ‘600 la "Terra di Trezza" era una zona disabitata nella quale alcuni mercanti della città di Aci Aquilia (che nel 1642 avrebbe preso il nome di Acireale) tenevano vasche di acqua stagnante (le "gurne") per farvi macerare lino e canapa e lavorarli come cordame.
L'origine del paese di Acitrezza, pare, infatti, che risalga agli ultimi anni del 1600, quando il Principe di Campofiorito Don Stefano della Casa Reggio,mandato da Don Francesco Fernandez de Cueva, Duca di Alburquerque e Vicerè di Sicilia per organizzare i soccorsi e prestare aiuto alla città di Catania minacciata dall'eruzione dell'Etna del 1669, durante la sua permanenza nella zona s'invaghì della splendida contrada che si estendeva dai mitici scogli dei ciclopi fino al bosco di Aci.
La scelta del vicerè non era casuale, avendo nel 1651 Stefano Riggio comprato in feudo della R. Corte, dal Marchese Don Nicolò Diana di Cefalà, per 36500 scudi, la città di Aci SS. Antonio e Filippo (comprendente gli odierni comuni di Aci Sant'Antonio, Aci Catena e Valverde) che già nel 1639 si era staccata da Aci Aquilia.
Don Stefano, ben comprendendo quale vantaggio potesse apportare allo sviluppo di un paese uno sbocco al mare, pretese allora il territorio di fronte agli scogli dei Ciclopi precisamente quella spiaggia dove oggi sorge Acitrezza.
il Principe si diede subito da fare affinché su questo incantevole luogo, incuneato tra Capomulini e il Castello di Aci (entrambi rimasti sotto il dominio della città di Aci Aquilia),nascesse un vero e proprio paese con uno scalo marittimo al servizio commerciale di tutto il feudo.
Fece ripulire la spiaggia, vi fece costruire uno scalo per le barche e un porticciolo proprio di fronte agli scogli dei Ciclopi : l'Isola Lachea, la Longa, il Faraglione grande, quello di mezzo, il Faraglione piccolo e, fra gli ultimi due, gli scogli “du Zu Ianu”, chiamati “ Zu Ianu di terra” e “Zu Ianu” di fora, detti così a seconda di dove si metteva a pescare un certo Sebastiano Greco, agli inizi del secolo scorso, con la sua barchetta.
In seguito il Principe pensando di trasformare il porticciolo in un luogo più sicuro tentò di fare chiudere quel tratto di mare tra l'Isola Lachea e la Longa. Furono usate pietre, prese dalla stessa isola, e gettate senza una vera sistemazione, sopra strati di sarmento. Ma ciò non servì a nulla, perché alla prima mareggiata, durante l'inverno, tutto andò distrutto.
Intanto gli abitanti del nascente villaggio erano ancora pochi ed il Principe, per popolarlo escogitò di dare asilo politico a tutti coloro che avevano problemi con la giustizia, cioè ai ricercati dalla polizia spagnola, i quali qui potevano trovare scampo perché sotto la sua protezione.
Aumentata, così la popolazione, si sviluppò non solo l'attività peschereccia, ma anche il traffico di piccole imbarcazioni a vela lungo le coste per il commercio di oggetti vari e prodotti alimentari.
Il principe era veramente innamorato della Trezza a testimoniarlo fu il fatto che conservò per lungo tempo, tra i suoi titoli quello di Signore di Acitrezza.
Il fratello "cadetto" Andrea, fu Arcivescovo di Catania.
Oltre al molo Don stefano costruì la chiesa di S. Giuseppe che venne ultimata nel nel 1687 . Fu però distrutta dopo pochi anni, dal terremoto che l'11 gennaio del 1693 che devastò tutta la Sicilia orientale. Ne venne costruita subito un'altra, ultimata nel 1696, che venne dedicata a S. Giovanni: è quella tuttora esistente al centro del paese.
In seguito i Riggio, indicati popolarmente come "i Principi di Jaci", diressero il feudo da Aci S. Antonio dove nel 1702 si fecero costruire in contrada Catena un grande palazzo (ora palazzo Càrcaci).
I Riggio fecero allestire anche due torri per la difesa, i magazzini, il fondaco, la "potega" e nacque anche un'amministrazione locale, oltre naturalmente al parroco (anzi all'arcipresbitero) che era la vera guida del paese: ciò fu ufficializzato nel 1691.
La Terra di Trezza venne gestita da Stefano Riggio fino al 1678, quindi dal figlio Luigi Riggio Giuffrè fino al 1680, da Stefano Riggio Saladino fino al 1704, quindi a Luigi Riggio Branciforte fino al 1757 che però preferì risiedere in Spagna e lasciare l'amministrazione del feudo allo zio Gioacchino Riggio. Infine Stefano Reggio Gravina fino al 1790 e Giuseppe Riggio Grugno fino al 1792, quando il feudo divenne libero. Giuseppe Riggio Grugno morirà poi a Palermo decapitato dalla folla in rivolta nel 1820, estinguendo la famiglia dei principi di Aci. In ogni caso il feudalesimo era stato abrogato in Sicilia nel 1812.
I primi decenni di vita non furono facili ma l'avvedutezza dei Riggio, unita all'intraprendenza commerciale dei più facoltosi catenoti e dei vicini castellesi, fecero di Trezza uno degli scali più importanti della Sicilia a metà del ‘700.
Luigi Riggio aveva fatto edificare dopo il 1730 altre case ed altri magazzini, rendendo inoltre splendido il suo palazzo vicino al mare, oggi praticamente scomparso così come la più grande delle torri di difesa. Aveva poi creato una strada carrozzabile che da Trezza giungeva a S. Maria della Catena e, grazie al suo ruolo di Grande di Spagna ed ai contatti che aveva un po' dappertutto, faceva affluire nello scaro barche di ogni tipo. Fu anche ambasciatore in Francia, e da Trezza, in particolare, partivano persino formaggi etnei per quella illustre sovrana.
Con quella Nazione in ogni caso i contatti furono frequentissimi. Le navi francesi (così come di altre nazioni) giungevano talora direttamente nel porticciolo di Trezza ma più spesso tali contatti avvenivano a Messina. Le merci erano portate lì via mare ed imbarcate su bastimenti più capienti. Tuttavia non si pensi che le barche che partivano da Trezza fossero di poco conto: i loro occupanti generalmente erano più di una dozzina ed esse erano munite anche di cannoni per difendersi qualora fossero state attaccate dai soliti malintenzionati.
Riggio tentò anche di rendere il porto più sicuro bombardando il lato sud dell'isola e cercando di unirla ai Faraglioni; tutto fu però inutile perché la forza del mare abortì presto i tentativi che occuparono tutto il mese di agosto dell'anno 1748.
Agli inizi del '700 Acitrezza aveva già circa 150 abitanti e nel corso del secolo la zona cominciò ad essere sempre più apprezzata come punto di approdo per la pesca delle sarde.
L' autorità del principe feudatario era rappresentata localmente da un amministratore (chiamato "giudice segreto", forse perché nominato a discrezione insindacabile del principe), coadiuvato da "giurati" (che formavano il "decurionato"), da un responsabile dell'ordine pubblico ("capitano") e da un esattore del "fisco" (per i tributi finanziari).
Non esisteva ancora una strada costiera tra Acireale e Catania, che erano collegate soltanto mediante una carrozzabile che passava sulle colline, attraverso Valverde e Nizeti: la costiera (quella che è ora la strada statale 114) venne costruita solo nel 1835.
L'unico collegamento viario di Acitrezza era la cosiddetta "strada del principe", una carrozzabile che dal porto saliva fino al palazzo Riggio in contrada "Catena" di Aci S. Antonio.
Alla fine del Settecento la dinastia dei Riggio si impoverì e in breve scomparve definitivamente dal panorama pubblico della zona.
Nei primi decenni dell'Ottocento il governo borbonico attuò nella zona un riassetto amministrativo in seguito al quale, nel 1828, Acitrezza (assieme a Ficarazzi) fu separata dal Comune di Aci S. Filippo e venne aggregata a quello di Acicastello.
Con il progredire dell' Ottocento, via via che scomparivano i maceratoi per la lavorazione di lino e canapa,il commercio cominciò a languire nel porto davanti ai Faraglioni; l'economia di Acitrezza andò orientandosi sempre più decisamente verso la pesca, ma con risultati economici molto limitati che a malapena permettevano la sopravvivenza dei pescatori e delle loro famiglie.
A metà dell'Ottocento la popolazione era di circa 750 abitanti raggruppati in circa 250 famiglie. La popolazione restò pressoché invariata fino agli inizi del Novecento
Il 1900 portò, di decennio in decennio, una nuova forza trainante: il turismo. Trezza è così divenuta ricca di alberghi e di locali di intrattenimento e di ristorazione per una folla sempre più varia che affolla ora, soprattutto le notti estive, il Lungomare dei Ciclopi e le sue strade.
La pesca nel dopoguerra è divenuta una forza trainante, anche se deve dividere il mare (e il porto) con la nautica da diporto, e i grossi pescherecci uscendo al largo navigano tranquillamente per l'intero mediterraneo.
Il mercato del pesce è uno dei più importanti della Sicilia.
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