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Castello di Bauso
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::Castello di Bauso a Villafranca Tirrena » Storia

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"Ascoltate - mi disse - non dimenticate di fare una cosa quando andrete da Palermo a Messina per mare o per terra. Fermatevi al piccolo paese di Bauso, vicino alla punta di Capo Bianco. Di fronte ad un albergo troverete una strada in salita che termina a destra con un piccolo castello a forma di cittadella. Alle mura di quel castello si trovano appese due gabbie: una è vuota, nell'altra biancheggia da vent'anni la testa di un morto. Domandate al primo viandante che incontrerete la storia dell'Uomo a cui appartenne quella testa e avrete uno di quei racconti completi che dipingono tutta una società, dalle montagne alla città, dal contadino al gran Signore..." Alexandre Dumas, Pascal Brunò, 1838


Castello di Bauso

Castello di Bauso




Fu il Conte Stefano Cottone, mercante e banchiere tra i più importanti di Messina, a far costruire nel 1590 il primo borgo che ha forma di castello (esso è conosciuto come Castel Nuovo), come conferma la frase riportata nell'epigrafe situata sul portale del bastione sud-est :
D.O.M. Arcem hanc fideliss, ad arcendas terra marisq. hostium incursiones Sthephanus Cottonius Bavusj III Dus Comes a fundamentis ferie IX erexit Anno a partu Virg. CIO IO XC.
«[...] a difesa dalle incursioni da terra e dal mare, Stefano Cottone, IV signore di Bauso, eresse le mura dalle fondamenta ...nel 1590... »
Per il conte di Bevuso (antico nome di Bauso) principe di Castelnuovo, era il cosiddetto «palazzo del conte» abitazione del signore del contado.
Fu bella e ricca dimora, dove solevano soffermarsi i vicerè spagnoli nei loro viaggi da Palermo a Messina,
ma ad essa sono legati sanguinosi episodi che ne offuscano la storia. Dai piùalti merli di una torre pendeva, un tempo, una gabbia di ferro con il macabro teschiocdel giustiziato Pasquale Bruno.
«Si narra (storia romanzata dal Dumas) che esso, brigante galantuomo», ereditasse un grave retaggio di odio verso il principe di Castelnuovo il quale, avendo abusato di sua madre, venne accoltellato dal marito di essa, Antonio Bruno, che pago l'atto con la sua testa al principe sopravvissuto.
Il figlio Pasquale che, tra l'altro, si era perdutamente innamorato della ancella della figlia del principe (negatagli in sposa dalla padrona), disperato e deciso a dedicare la vita alla vendetta si diede al brigantaggio finchè il principe fece mozzare anche a lui la testa ed esporre nella stessa gabbia dove era stata quella del padre.
La storia non finisce ancora poichè il Bruno lascio erede della triplice vendetta l'amico Ali il quale ammazzo in egual maniera, staccandole il capo, la figlia del principe, contessa Gemma. Questa orrida vicenda di teste mozzate, che incombe sul castello con la sua lugubre memoria, venne rappresentata nei teatrini dei «pupi» dove la vita di Pasquale Bruno, brigante intemerato, raffigurato con barba, occhi ed unghie nerissimi e trombone a tracolla, assieme al fido Ali con lunga scimitarra, continua a far fremere di entusiasmo i piccoli spettatori di tali spettacoli ormai tanto rari.
Estintasi con il Principe Carlo la famiglia Cottone, e non essendogli sufficiente il patrimonio liquido per intraprendere un'opera che gli stava a cuore: la costruzione di un Istituto agrario nella sua villa sui colli, vicino Palermo, tutti i beni furono acquistati nel 1819 dalla famiglia Pettini,
I conti Pettini acquistarono il castello per 9.000 onze, e curiosamente mantennero gli stemmi gentilizi dei loro predecessori limitandosi a sostituire il motto "POTENTIOR" dei Cottone con il loro "NE PEREAT".
Con l'avvento dei nuovi proprietari, il castello conobbe nuova vita e splendore, ospitando periodicamente i Vicerè spagnoli.
Il palazzo fu eletto a biglietto da visita di una famiglia che amava mostrare fasto, ricchezza, nobiltà. Con qualche smania di grandezza i Pettini, fecero affrescare il loro stemma sul soffitto di una sala, arricchirono l'edificio di pitture, di rilievi marmorei con i ritratti dei familiari, di busti romani e statue femminili con vesti drappeggiate alla maniera classica, poste sulla gradinata che sale alla porta principale: opere di non alta fattura, ma certamente espressione di un gusto orgoglioso, di un desiderio di "rappresentanza".
Si deve ai Pettini la creazione intorno al castello di uno splendido "Giardino all'italiana". Una passerella collegava direttamente il Castello a un laghetto della villa, nel quale una serie di canali con particolari fontanelle permettevano giochi d'acqua caratteristici e davano vita alle cascate delle tre grotte artificiali intitolate ai tre Canti della Divina Commedia: Paradiso, Purgatorio e Inferno.
Per la costruzione del Giardino sono state utilizzate pietre di colore diverso e vetri multicolori e al suo interno insisteva un laghetto artificiale, habitat favorevole di diverse varietà di piante acquatiche, le grotte "Inferno", "Purgatorio" e "Paradiso", e opere artistiche di pregio come la "Fontana dei quattro Leoni" attribuita allo scultore fiorentino Giovanni Angelo Montorsoli.
I Pettini intrattenevano anche molteplici rapporti con personalità del periodo. Il poeta messinese Felice Bisazza, ad esempio, trascorreva le vacanze nel vicino villaggio di Serro; su questi soggiorni la sua penna restò muta, ma egli dedicò invece una poesia piena di dolore ad una contessa Pettini, morta giovanissima: "Nel turrito palagio ella ritorna..." Ed una lapide di marmo posta dal conte Francesco Pettini alla moglie Maria Antonietta, scomparsa nel 1844 a soli ventisei anni, è nella chiesa di San Nicola, nella piazza proprio di fronte il castello di Bauso. Un'amicizia confidenziale legava poi Domenico Pettini al poliedrico Giuseppe Grosso Cacopardo.
Francesco Marcello Pettini ,figlio di Domenico, investito del titolo di conte nel 1870, lo trasmise al nipote Francesco Antonio Ottaviani e nel 1907 pervenne ai di lui figli Lorenzo, Maria e Tommaso. In seguito (1926) venne venduto al notaio Pietro Saja il quale, dopo averne iniziato i lavori di restauro, lo donò allo Stato.
Internamente al Palazzo-Castello, ogni stanza è corredata da un camino di fattura rinascimentale e ornata con fregi, statue, affreschi e busti marmorei. Tra quest'ultimi, spiccano le raffigurazioni dei poeti Dante, Virgilio e Tasso, oltre alle sculture che  rappresentano le "Quattro Stagioni".
Ancora intatta una sala con ilgrande stemma affrescato sul soffitto ed alle pareti medaglioni in marmo (con sottostanti iscrizioni su lapide) raffiguranti quattro membri della famiglia Pettini.
Una pavimentazione di mattonelle di ceramica dipinte a mano di manifattura siciliana abbellisce sia la gradinata esterna del castello che portava alla porta principale, sia   le stanze interne.
Fu destinato a sede della G.I.L. ed, conteso dagli eredi Saja e dal governo italiano, il castello, da entrambe le parti abbandonato, fu per molti anni alla completa rovina anche per i gravi danni subiti dalla recente guerra.
Dopo un periodo di abbandono, il castello è stato riaperto al pubblico nel 2003 e oggi sono in fase di ultimazione i lavori di restauro che riporteranno l'antica residenza nobiliare, con il suo fastoso giardino, allo splendore originale.
Sulla porta principale alla quale conduce una breve sala a due rampe ornata di marmorei busti romani si legge:
«PROSPICIO EOLIAS TERRAS PELACUMQUE PATENTEM CIRCUMPINQUE SOLUM VULTA VTRETA VIAM».
Volgendosi si scoprono sfumate all'orizzonte le belle isole Eolie.
Le dimensioni e la fattura del palazzo dimostrano che l'edificio, come già detto, era solo una residenza secondaria dei Cottone, i quali vi sostavano per curare i loro interessi sul territorio, mentre la fortificazione vera serviva anche ai cittadini del borgo come rifugio nel caso di attacchi da parte di corsari barbareschi, a quell'epoca frequenti in tutta l'isola.
L'edificio, a due elevazioni, presenta grandi finestre e porta d'ingresso sul lato nord. Anche all'interno la distribuzione degli ambienti, l'atrio, le scale, la tessitura delle murature, ripetono schemi di edifici residenziali, lontani da qualunque intenzione militaresca.
La cinta muraria e i baluardi angolari possono considerarsi soltanto elementi tipici del Castello, ma privi di qualsiasi cautela difensiva.
La struttura che vediamo oggi dimostra che il castello fu realizzato in fasi costruttive successive: prima la cinta muraria bastionata che si sviluppa su livelli differenti adattandosi alla morfologia della collina, poi il Palazzo vero e proprio al centro del recinto fortificato, il cui prospetto principale è rivolto a nord verso il mare. Infine, la porta d'accesso che si apre sul lato corto del bastione sud-est.




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