Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Villa del Tellaro
Dopo oltre trenta anni gli scavi, la villa del Tellaro, che prende il nome dall'omonimo fiume che vi scorre in prossimità, è stata inaugurata e resa fruibile al pubblico solo il 15 marzo 2008. Inserita in una masseria settecentesca, rimasta per decenni in stato di abbandono e degrado, la si raggiunge percorrendo la Strada Provinciale 19 Noto-Pachino, verso la Riserva Naturale di Vendicari, in contrada Caddeddi,
Nell' estate del 1971, uno scavo clandestino e prontamente abbandonato, portava alla luce una parte di pavimento in mosaico, che pur sporco di terra e visibile con luce fioca, svelava per raffinatezza di stile la mano straordinaria che lo aveva realizzato. Quei cacciatori di reperti non immaginavano neppure il valore di quello che avevano casualmente trovato.
Si trattava, infatti, dei resti di una villa romana di tarda età imperiale romana del IV secolo dopo Cristo, la dimora di una famiglia di latifondisti, i cui pavimenti erano ricoperti da straordinari mosaici che sono tra i più significativi dell'epoca e possono bene rivaleggiare con quelli, notissimi, di Piazza Armerina, presso Enna.
Avvisato dagli agenti della Guardia di finanza, il soprintendente ai Beni culturali Giuseppe Voza da oltre 30 anni si è dedicato allo studio e al restauro di questi mosaici che rappresentano un' importante tassello archeologico della storia siciliana nel Basso Impero.
Con la sua superficie di circa seimila metri quadrati, la villa del Tellaro, ha ancora molte storie da rivelare: per il momento i tre pavimenti musivi, che sono stati recuperati e ricollocati in situ, sono racconti colti e raffinati, nei quali s'intreccia una mole vastissima di notizie.
Fra il IV e il V secolo la Sicilia subisce, infatti, un rilancio strategico che ne fa l'avamposto per la penetrazione di Roma nel Nord Africa e in generale per tutto il Mediterraneo, e un rinnovamento economico promosso dalla funzione di fonte alternativa di derrate alimentari.
Inoltre, dopo la riforma amministrativa di Diocleziano del 297 d.C., volta a decentrare l'amministrazione statale, il vicariato (il governo cioè di una diocesi amministrativa incorporante più province) diveniva una carica ambita per la nobiltà romana, e le proprietà fondiarie "in loco" un incentivo per monopolizzare le cariche del governo provinciale.
Così la Sicilia cominciò ad essere frequentata dalla nobiltà romana di alto lignaggio (sia per ragioni pubbliche che private) che, per gestire meglio i loro interessi, cominciarono a costruire grandiosi complessi residenziali sui loro latifondi.
Si trattava di impianti sontuosi, come la Villa di Piazza Armerina, lussuose oasi per le tappe ispettive in proprietà africane, o dimore stabili per una classe ricca e avida di potere, sempre più radicata nei luoghi da amministrare.
Immediatamente dopo il ritrovamento dei mosaici si posero una serie di problemi da risolvere. Tra questi, la collocazione dei mosaici, sotto il pavimento della masseria:occorreva portarli via per restaurarli senza danneggiarli ma anche senza demolire la struttura settecentesca.
L'operazione, delicatissima, avvenne con successo, i grandi manti musivi vennero staccati e arrotolati delicatamente per essere trasportati nel laboratorio di restauro della Soprintendenza di Siracusa. Ricollocati successivamente di fianco alla masseria, sotto una copertura di ferro che, dopo un problema di crolli, ora risolto, fa un pò troppo a pugni con il paesaggio della campagna di Noto.
Racconta Voza: «Per recuperarne alcune porzioni abbiamo tolto con un lavoro chirurgico parte delle fondazioni evitando di far crollare quel che resta della masseria e viste le condizioni in cui si trovavano abbiamo dovuto tirare via i mosaici e portarli al laboratorio per il restauro». Un'operazione che si presentava delicatissima e rischiosa perché, se eseguita malamente, rischiava di scompaginare le tessere, distruggendo per sempre le immagini. Un telo impregnato di un collante speciale venne posato sulla superficie del mosaico, poi si staccava dal terreno il fondo su cui erano posate le pietruzze ottenendo una sorta di tappeto che veniva arrotolato intorno a un cilindro di legno per il trasporto. «Avevo una tal paura di danneggiare le opere che feci montare una tenda nel cortile della fattoria dove far immediatamente fissare i mosaici sulle resine»
Dalla fine degli anni 80 gli esperti hanno lavorato per togliere le tracce lasciate dall'incendio. Con pazienza hanno risistemato alcune delle tessere sparse, ritrovate durante gli scavi, riportando all'originale splendore i racconti narrati sui pavimenti della villa.
Gli scavi finora eseguiti hanno permesso la scoperta dei mosaici pavimentali del lato nord del portico del peristilio, i tre ambienti che vi si affacciano e un breve tratto del lato sud del portico.