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Ove son or le meraviglie tue
O regno di Sicilia? Ove son quelle
Chiare memorie, onde potevi altrui
Mostrar per segni le grandezze antiche?


(Dal Fazello - Storia di Sicilia,
deca I,lib. VI,cap.I)





Sulla costa settentrionale ed orientale dell'isola, sono stati rinvenuti i resti di alcuni impianti destinati alla produzione e alla lavorazione risalenti al VI secolo a.C.. I più significativi erano destinati alla produzione di ceramica. In prossimità della Porta Nord, gli scavi hanno portato alla luce un vero e proprio ceramificio, un edificio addossato alle mura organizzato per le varie fasi di produzione della ceramica. Nell'ampio slargo, in mezzo a cumuli di detriti sono state rinvenute armi da guerra, punte di lance e frecce che richiamano al violento attacco che Mozia subì ad opera del tiranno Dionisio. Altri complessi industriali sono situati a nord del "santuario di Cappidazzu" (zone "K" e "K est"), e a sud della necropoli arcaica. Nella cosiddetta area "K" si sviluppa un complesso destinato alla produzione di ceramica, parzialmente scavato. Il complesso sembra essere stato impiantato nel VI secolo a.C. e aver subito una ristrutturazione nel V secolo a.C., per essere poi distrutto nel corso dell'assedio siracusano del 397 a.C. Un edificio bipartito si addossa verso nord alle mura cittadine. Vi si accedeva dal lato sud attraverso uno spazio scoperto con un piccolo forno all'angolo sud-ovest, abbandonato in una seconda fase e ricoperto da una pavimentazione in acciottolato. Nel pavimento era inserito un grande recipiente (pithos) e vi si apriva inoltre un pozzo quadrangolare scavato nella roccia, con tacche nelle pareti per la discesa, a cui si collegano condutture fittili. In questo spazio doveva trovarsi inoltre i depositi per l'argilla e per il materiale non ancora sottoposto a cottura. L'ambiente più settentrionale era coperto da un tetto poggiante su due pilastri.
A sud-est si trova un forno più grande, con pianta a forma polilobata, presso il quale è stato rinvenuto capovolto un grande bacino in pietra con becco di scolo, probabilmente utilizzato per la lavorazione dell'argilla. A nord del forno un più antico pozzo fu successivamente ricoperto da un pavimento. A sud del complesso si trova un ampio spazio aperto, bordato lungo il suo margine settentrionale da altre installazioni. Nella limitrofa area "K est" è stato rinvenuto un pozzo circolare scavato nella roccia, successivamente abbandonato e ricoperto da un pavimento in battuto di argilla, che doveva raccogliere per mezzo di condutture fittili l'acqua piovana dalle mura cittadine e doveva essere stato utilizzato nella prima fase del complesso industriale. Presso il pozzo era una vasca quadrangolare in muratura rivestita internamente di stucco e riempita di sabbia silicea finissima, presumibilmente utilizzata nella lavorazione della ceramica. A sud uno spazio aperto pavimentato in acciottolato, dove è stato rinvenuto un tratto di muratura con pietre irregolari legate con argilla, che faceva forse parte delle installazioni difensive approntate per l'assedio. Dopo la successiva distruzione della città l'area "K" fu ricoperta da cumuli di detriti, che comprendevano elementi architettonici e pietre ammassate con rifiuti di vario genere. Qui è stato rinvenuta nel 1979 la statua marmorea nota come il Giovane di Mozia, attualmente conservata nel museo. Nell'area "K est", fra i detriti di vario genere che ne caratterizzano i livelli superiori, è venuto alla luce un bel esemplare di capitello del tipo cosiddetto protoeolico (con entrambe le facce decorate a bassorilievo con un fiore di loto stilizzato). Nella parte orientale dell'area "K est" si trova quello che sembra un secondo complesso industriale: un edificio con due ambienti in uno dei quali fu ritrovata sotto lo strato di crollo delle coperture una vasca rettangolare in pietra con resti di bruciato e diverse scorie metalliche, forse riferibile ad un impianto per la lavorazione del metallo.
Più a est, nei pressi della necropoli antica, è stata individuata una seconda area industriale per la concia e colorazione di pelli e tessuti che operò dal VII sec. a.C. fino alla distruzione della città. Si tratta di una superficie quasi quadrata delle dimensioni di 23,5 metri per 21,5 ove, in vari punti, sono stati trovati in notevole quantità resti di molluschi, in particolare murices, che fornivano la materia prima per la tintura di color porpora, una vera specialità dei fenici visto che da ogni esemplare di mollusco si poteva ricavare solo una goccia di porpora. Il pregio di tali tessuti è citato anche nell'Iliade, ove è detto che solo le principesse potevano indossare veli color porpora.
Una seconda area industriale per la tintura e forse per la concia delle pelli fu individuata nei pressi della "necropoli arcaica", dopo essere stata inizialmente identificata con un "luogo di arsione" legato ai sacrifici del vicino tofet. Questa zona restò in funzione dagli inizi del VII secolo a.C. fino alla distruzione di Mozia agli inizi del IV secolo a.C. Si tratta di una superficie quasi quadrata (m 23,5 x 21,5), delimitata da muri costituiti da piccole pietre, e sul lato est in parte da mattoni crudi. All'interno di questo spazio furono scavate nella roccia piuttosto tenera, circa venti fosse, in maggioranza ellittiche e profonde intorno ai 2 m, con pareti leggermente inclinate e rivestite internamente di argilla cruda di colore grigio-verde, per uno spessore di circa 4 cm, con tracce più o meno consistenti di bruciatura. Alcune fosse erano comprese entro vani irregolari. Completavano l'insieme due pozzi per l'acqua. Ammucchiati in notevole quantità in vari punti dell'area si sono rinvenuti resti di molluschi marini, specialmente murices, che fornivano la materia prima per la tintura di color porpora, una specialità fenicia: si è dunque supposto che l'impianto fosse destinato alla concia e alla colorazione di pelli ed anche di tessuti. Due forni di forma ellittica di grandi dimensioni, collocati all'estremità meridionale dell'area dovevano invece essere destinati alla fabbricazione di vasi. Nella stessa zona fu inoltre rinvenuto un pozzo contenente ceramiche della facie di Thapsos, attribuibili alla seconda metà dell'età del bronzo (XVIII-XVI secolo a.C.), con i tipici recipienti a "fruttiera" che tuttavia in questo caso non presentano alcuna decorazione né incisa né dipinta.