Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Chiesa del Collegio
Corso Vittorio Emanuele, 12
In Corso Vittorio Emanuele, una delle principali strade del centro storico di Trapani, ad angolo con la via Roma, si trova la Chiesa del Collegio dei Gesuiti. Risalente al XVII secolo, è uno dei pochi esempi di arte barocca in città.
Nel 1580 i religiosi della Compagnia di Gesù eressero nel tempio dei Confrati di San Michele un altare sotto il titolo della Concezione della Vergine Maria.
I Gesuiti, giunti a Trapani nel 1581, ottennero il permesso di edificare la chiesa, con annesso il collegio, e il convento, grazie anche al contributo di alcune donazioni del Senato cittadino. La chiesa fu progettata nel 1614 dall'architetto Natale Masuccio.Al Masuccio subentra Tommaso Blandino da Mineo, al quale si affiancarono via via maestranze locali e personalità di spicco: gli architetti Pietro Castro e Giovanni Biagio Amico, e gli scultori Giuseppe Milanti e Giacomo Tartaglio.I Confrati di San Michele abbandonarono il sito nel 1616. Nel 1655 al gesuita Francesco Bonamici da Lucca fu affidata la direzione dei lavori per il completamento del prospetto e solo il 13 giugno 1638 la chiesa fu consacrata dal cardinale Giovanni Domenico Spinola, vescovo di Mazara del Vallo.
Dopo la soppressione della Compagnia di Gesù del 1767, la chiesa, che era ancora in fase di decorazione, che avrebbe dovuto seguire i canoni del tempo e comprendere un apparato decorativo interamente costituito da marmi mischi, rimase in parte incompleta e i Padri Gesuiti dovettero lasciare Trapani nel 1770 insieme ai loro beni, che passarono sotto la giurisdizione della diocesi di Mazara del Vallo.
Il Collegio divenne poi il liceo ginnasio Ximenes dopo l'unità d'Italia, mentre il convento fu sede del tribunale fino agli anni '50 del 900.
Chiusa, per inizio dei restauri, dal 1961, è stata riaperta nel gennaio 2003, ma i lavori di restauro architettonico della chiesa da parte della soprintendenza si sono completati definitivamente solo nel 2011.
Facciata
Il primo ordine è arricchito da tre portali in calcare marmoreo grigio delimitati da paraste, sicché entrambi le partizioni centrali dei due ordini presentano la stessa intelaiatura verticale costituita da paraste binate collocate su alti plinti nel basamento e mascheroni sui dadi aggettanti del cornicione - marcapiano.
I tre portali presentano la stessa architettura: colonne ioniche sormontate da capitelli corinzi sostengono timpani ad archi sovrapposti e spezzati. Sulle cimase telamoni (o arpie, per via dei seni talvolta pronunciati) reggono un secondo ordine di timpani con volute a ricciolo, che delimitano grandi oculi intermedi. Il portale mediano, più ampio e più alto, nella parte intermedia è sormontato da due angeli che reggono lo stemma mariano centrale e un cartiglio recante la seguente iscrizione: "In nomine domini dei nostri invocabimus".
Il secondo ordine è caratterizzato da coppie di paraste scanalate con ghirlande sommitali che includono nicchie vuote. Nell'insieme delimitano la finestra centrale decorata con sculture muliebri a sostegno di un timpano triangolare spezzato con mensola intermedia. Due grandi volute a ricciolo arricchite da festoni fitomorfi raccordano il corpo centrale al primo ordine.
Navata sinistra
Un monumentale timpano a triangolo spezzato chiude la prospettiva, una elevazione intermedia comprende un oculo sormontato da timpano a ricciolo. Arricchiscono la decorazione ulteriori puttini, teste di cherubini, festoni di fiori e frutti, mascheroni e figure muliebri, conchiglie ed articolate modanature, greche, rosette e fiori stilizzati.
Nella controfacciata è addossata la cantoria.
Al suo interno la chiesa presenta tre navate con colonne ed archi a serliana. È sfarzosamente decorata con marmi e stucchi di Bartolomeo Sanseverino (che fu allievo del Serpotta) e autografi "BARTH. SANSEVERINUS PAN. ARCHITECTUS ET PLASTES 1766. Sono preminenti nella chiesa i preziosi lavori di tarsie di marmi colorati; di notevole pregio è la cappella di Sant'Ignazio, posta a sinistra dell'abside, realizzata nel 1714 da Giovanni Biagio Amico, lo stesso architetto a cui si deve la realizzazione delle facciate della Chiesa del Purgatorio e della Cattedrale di San Lorenzo. Da ammirare sono anche l'icona marmorea dell'Immacolata di Ignazio Marabitti, il prezioso pulpito, un Crocifisso in legno di Giuseppe Milanti e tre dipinti del pittore fiammingo G. Gerardi.
Nella sacrestia è conservato invece un armadio ligneo, restaurato nel 2002.
Navata centrale
L'apparato decorativo plastico comprende otto medaglioni in stucco delimitati da foglie d'acanto sul pennacchio delle colonne binate. altrettanti Altrettanti quadroni in cornici mistilinee ornano le porzioni di pareti comprese fra finestroni. Sulla volta due quadroni minori delimitano una grande scena centrale sull'asse mediano. La statuaria annovera quattro manufatti inserite in nicchie sulle pareti laterali e diversi busti marmorei.
- Prima campata: Cappella della Sacra Famiglia. Sulla parete è documentato il dipinto raffigurante la Sacra Famiglia, opera di Domenico La Bruna. All'interno della navata centrale un'acquasantiera in marmo rosso.
Navata destra
- Nicchia con statua. Nel vano inferiore è collocata una statua della Madonna di Trapani.
- Seconda campata: Cappella di Sant'Alberto. Ambiente con cancellata, sopraelevazione costituita da colonne tortili intarsiate. Nell'edicola il dipinto raffigurante Sant'Alberto degli Abbati.
- Nicchia con statua. Vano inferiore con confessionale.
- Terza campata: Cappella della Madonna di Trapani. Ambiente oggetto di restauri.
- Busto su parete intarsiata in marmi mischi.
- Vani pseudotransetto.
Navata sinistra
Ingresso ambiente.
- Prima campata: Cappella di Santa Rosalia. Sotto la mensa è collocata una scultura marmorea realizzata nel 1717 da Giacomo Tartaglio in alabastro bianco di Gibellina. Omaggio dei trapanesi a Santa Rosalia. All'interno della navata centrale un'acquasantiera in marmo rosso.
- Nicchia con statua. Vano inferiore.
- Seconda campata: Cappella del Beato Luigi Rabatà.
- Nicchia con statua. Vano inferiore con confessionale. Nella navata centrale il pulpito marmoreo con arpie sul fusto e le raffigurazioni degli evangelisti nella conca, opera dei maestri palermitani Francesco Scuto e Nunzio La Matina, ispirato a quello di Casa Professa.
- Terza campata: Cappella del Santissimo Crocifisso. Il Crocifisso è opera di Giuseppe Milanti.
-Busto di donna Allegranza Sanclemente su parete intarsiata in marmi mischi. Varco d'accesso agli ambienti della sacrestia.
- Vani pseudotransetto.
Absidiole
- Absidiola destra: Cappella di San Francesco Saverio. L'ambiente è arricchito dal dipinto raffigurante San Francesco Saverio, opera di Pietro Novelli.
- Absidiola sinistra: Cappella di Sant' Ignazio. Nel XVIII secolo fu realizzato dall'architetto Giovanni Biagio Amico[10] l'ambiente dedicato al fondatore della Compagnia, pregevole il quadro raffigurante Sant'Ignazio di Loyola,[9] opera di Vito Carrera inserito in un'edicola delimitata da colonne tortili e timpano ad arco spezzato. Pareti arricchite da colonne, marmi, mensole, volute, vasi acroteriali, stucchi e reliquiari lignei di Santi Martiri.
Altare maggiore
- 1637, Immacolata Concezione, dipinto, opera di Geronimo Gerardi. L'opera documentata sull'altare maggiore fu sostituita con l'altorilievo marmoreo con lo stesso soggetto di Ignazio Marabitti.
La chiesa fu chiusa al culto nel 1961 per restauri, i quali per via di mancanza di fondi sono stati attuati in maniera discontinua, rendendo il santuario non fruibile ai cittadini trapanesi per molti anni, fino alla sua riapertura solo nel 2003.
Accanto si estende il grande complesso che comprende il vecchio convento gesuitico e l'ex collegio in cui i gesuiti svolsero l'attività pedagogica ignaziana. Fu utilizzato fino al 1767, quando avvenne lo scioglimento dell'ordine. In seguito all'Unità d'Italia e alla legge Casati, l'edificio divenne “Regio Ginnasio” e “Regio Liceo”, prendendo il nome dello scienziato trapanese Leonardo Ximenes, che lì aveva trascorso i suoi studi.