Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Chiesa di S. Antonio Abate
Piazza S. Antonio
La Chiesa di Sant'Antonio Abate, sita nell'omonima piazza, con la relativa confraternita esisteva già nei tempi della fondazione del paese.
La chiesa, documentata nel 1609, viene citata, infatti, nel registro della prima visita pastorale documentata della Diocesi di Agrigento, cui Delia appartenne dal 1597 - anno della fondazione - fino al 1844. Della confraternita di S.Antonio Abate non si conoscono né l'anno di fondazione, né i capitoli. Oltre al riferimento del 1609 si ha una seconda notizia su di essa nel 1657, anno in cui ottenne la licenza per effettuare la processione del santo titolare della chiesa. Altri riferimenti si hanno nei registri di visita degli anni 1669 e 1736. I suoi membri venivano seppelliti all'interno della cripta della chiesa.
Un secondo documento di visita pastorale, datato 1669, ci informa sugli altari presenti nel XVII secolo all'interno della chiesa; essi erano quattro: quelli di S. Antonio, S. Biagio, S. Spirito e S. Agata. Nel 1737, anno della visita pastorale di mons. Gioeni, l'ultima prima della riedificazione della chiesa, gli altari presenti erano quelli di S. Antonio Abate, S. Aloi, S. Silvestre e S. Blasio.
Il 17 gennaio, festa del santo patrono dei campi, delle sementi e degli animali, i contadini sfilavano con i loro muli e asini bardati a festa lungo un viottolo limitato da filari di fichidindia che costeggiava l'edificio sacro per andare a ricevere, davanti la porta della chiesa, la rituale benedizione solenne perché nel nuovo anno il raccolto fosse più copioso.
Sorgeva extra terra nel quartiere vecchio detto degli "Ebrei".
Come tutte le altre chiese deliane, quella di S. Antonio venne demolita e ricostruita nel Settecento, in particolare tra il 1740 e il 1763, probabilmente a causa del terremoto che, nel 1693, colpì duramente il Val di Noto. Dei lavori si occupò Giovanni Garallo nella veste di procuratore e committente. Per tale motivo egli chiese al Vescovo di Agrigento, ed ottenne da quest'ultimo, il diritto di sepoltura per sé e la propria famiglia nella cripta, come risulta dal seguente estratto di documento:
«Supplica mastro Giovanni Garallo, che per tanti servigi da lui presentati anche come procuratore della venerabile chiesa di S. Antonio di codesta, che per se et suos si concedeva il luogo della sepoltura nella detta chiesa che si ritrova già per finirsi»
Nel 1726 venne rifondata all'interno della chiesa la confraternita dell'Immacolata Concezione, in precedenza esistente presso la chiesa Madre. Anche la confraternita dell'Immacolata, come quella di S. Antonio, ebbe sepoltura presso la cripta.
Nel 1771 gli altari a tutt'oggi presenti risultavano essere: S. Antonio Abate, S. Maria della Concezione (in precedenza alla Madrice), S. Biagio e SS. Crocifisso.
Nel Settecento la chiesa fu sede dell'arcipretura mentre alla Madrice veniva costruito il transetto - e rimase tale fino al 1804 -, mentre nell'Ottocento venne più volte occupata dai soldati borbonici inviati da Napoli. Un secondo documento, datato 1875, dà ulteriori notizie circa la chiesa di S. Antonio; si tratta di una delibera del consiglio comunale di allora attraverso la quale tutte le chiese vennero dichiarate di proprietà comunale.
Nel 1922 fu costruita la cella campanaria dai fratelli Rosselli di Favara.
Nel 1926 accanto alla chiesa fu edificato un istituto per l' educazione dei fanciulli gestito tutt'oggi dalle suore francescane del "Signore della Città".
La chiesa fu restaurata nel 1968 da Angelo Fazio, come si evince dall'iscrizione posta nel cartiglio della controfacciata.
Oggi, non si festeggia più in maniera solenne Sant'Antonio Abate ma la chiesa diventa il cuore di Delia durante la Novena dell'Immacolata che richiama un tale numero di fedeli che spesso, non trovando posto, partecipano alle sacri funzioni dal sagrato della Chiesa.
La chiesa recentemente restaurata presenta al suo interno cinque cappelle barocche delle quali quattro ornate da colonne tortili sormontate da maestosi baldacchini.
Tutti e cinque gli altari delle cappelle sono di legno intagliato e dorato che, come quelli della Chiesa Madrice, sono dei veri e propri preziosi tesori di quell'arte povera del legno isolana che ormai in pochissime chiese viene conservata e valorizzata.
E' stata riaperta la cripta e rifatto il pavimento usando una ceramica molto simile all'antico pavimento del 1700.
Vi si conservano le statue di Sant'Antonio Abate, di San Francesco da Paola, di San Biagio e dell'Immacolata tutte del 1700, quella del Crocifisso è sicuramente molto più antica mentre le piccole statue di San Luigi Gonzaga e di Santa Elisabetta d'Ungheria sono del secolo scorso.
Angelo Carvello.
Descrizione
La chiesa sorge in piazza Sant'Antonio. La facciata della chiesa, in pietra e a capana, è chiusa da tre lesene, anch'esse del medesimo materiale.
Il portale d'ingresso è caratterizzato da due ulteriori lesene tuscaniche trabeate,che sorreggono una trabeazione sulla quale è realizzata una piccola edicola vuota, anch'essa chiusa da due piccole lesene sorreggenti una seconda trabeazione e il timpano.
Sopra di esso è presente un piccolo rosone che consente alla luce di entrare all'interno della chiesa.
A chiudere il prospetto della facciata una trabeazione più grande sulla quale si ergono il timpano della chiesa e, al suo fianco, la cella campanaria. I pilastri della cella sono decorati con lesene dai cui capitelli si ergono le arcate che chiudono la struttura. Al culmine di questa vi è una trabeazione sulla quale è costruito un tamburo ottagonale, con un oculo per ciascuna facciata, chiuso, a sua volta, da una copertura conica sulla quale è innestata la banderuola. Il lato della chiesa che si affaccia su corso Umberto I è caratterizzato da una porta e tre finestre nella parte superiore. L'abside è semicircolare.
L'interno
L'impianto spaziale, a navata unica, è costituito da aula e coro, coperti da volte a botte lunettata con specchiature centrali mistilinee, e catino absidale. L'interno presenta due altari per ciascun lato, inseriti all'interno di piccole cappelle barocche ricavate dalle pareti ripartite in cinque partiti, di diversa ampiezza, da lesene tuscaniche trabeate.
Nel secondo e quarto partito sono poste arcate cieche con altari lignei settecenteschi: tre hanno ancona con colonne tortili che reggono un baldacchino, raccordato da volute. Sono presenti decorazioni in stucco con motivi fogliati, testine alate e festoni.
Procedendo verso l'altare maggiore è possibile ammirare, lungo la parete destra, gli altari dedicati a S. Francesco di Paola e all'Immacolata; di fronte ad essi, rispettivamente, quelli di S. Biagio e del Crocifisso. Tutti gli altari predetti, in legno intagliato, dorato e dipinto, sono sormontati dai rispettivi simulacri lignei di origine cinque, sei e settecentesca.
Gli altari di S. Francesco di Paola, dell'Immacolata e del Crocifisso sono, inoltre, arricchiti da un tabernacolo ciascuno (lo sportello di quello dell'altare del Crocifisso è decorato con lo stemma dei Gesuiti, in legno intagliato e dipinto).
Le cappelle di S. Francesco, dell'Immacolata e di S. Biagio sono, a loro volta, arricchite da colonne tortili con elementi floreali; dai capitelli di esse si erge un baldacchino sormontato, a sua volta, da una grande corona.
Tutto questo complesso decorativo è realizzato in stucco. Il colore dominante della chiesa è il bianco, ma osservando bene alcuni elementi delle colonne e del baldacchino della cappella dell'Immacolata è possibile riscontrare tracce di colore rosa, segno di una precedente colorazione confermata anche da alcune foto contenute nella pubblicazione del sacerdote Giuseppe Adamo, del 1988, sulla storia di Delia.
Altre due statue (S. Elisabetta d'Ungheria, sulla destra, e S. Luigi Gonzaga, sulla sinistra) sono collocate su due basamenti quadrati retti da una conchiglia (il tutto realizzato in stucco) che si trovano sopra i due gradini che portano al presbiterio. Prima di essi vi è una lastra tombale in pietra indicante la sepoltura di Giovanni Garallo.
Nel presbiterio trovano collocazione l'ambone in pietra, sul lato sinistro, e il seggio sacerdotale in legno intagliato e dorato, sul lato destro; al centro, sopra un ulteriore gradino, è posto l'altare maggiore, in pietra, affiancato dalla croce astile in legno intagliato e dipinto, di recente acquisto.
A chiusura di questo ambiente vi è l'altare intitolato a S. Antonio Abate, posto sopra altri due gradini. Esso è realizzato in legno intagliato e dipinto e arricchito, inoltre, da quattro specchi (due per lato ai fianchi del tabernacolo). Quest'ultimo è costituito da quattro colonnine lignee, due per lato, ai fianchi dello sportello. Esso, in vetro, è decorato con la figura del Buon Pastore in legno intagliato e dorato.
Le quattro colonnine sorreggono una trabeazione sopra la quale è collocata una cupola lignea, di forma semi-ottagonale, soprastata da un piccolo crocifisso.
Ai lati dell'altare due tende nascondono, sulla destra, la sacrestia e, sulla sinistra, le scale che portano alla nicchia ove trova collocazione la statua di S. Antonio Abate.
Essa è affiancata da due colonne tortili per lato - identiche a quelle degli altari dell'Immacolata, S. Francesco e S. Biagio - che sorreggono una trabeazione sopra la quale sono realizzati, sempre in stucco, due piccoli angeli in posizione seduta; al centro dei due angeli vi è un cartiglio con la seguente iscrizione: Divitias tribvit miseris Antonivs olim nvnc locvples meritis coelica regna tenet.
Sopra detto cartiglio è realizzata, sempre in stucco, una grande corona, come quelle dei cappelloni predetti; da essa parte una lunga trabeazione che collega tutte le pareti della chiesa e sulla quale si innesta la volta. Alla base delle colonne della nicchia di S. Antonio è possibile ammirare lo stemma dei Principi di Palagonia; realizzato in stucco, e suddiviso in due parti, esso è visibile, sulla sinistra, dalla scalinata predetta, mentre la parte destra è visibile dall'ambiente della sacrestia. Sul soffitto trovano collocazione altri due cartigli con le seguenti iscrizioni: Contempsit vitam mvndi (più vicino all'arco maggiore) e Calcavit artes daemonum (più vicino alla parte centrale della volta). Sotto la pavimentazione, da poco restaurata con piastrelle che compongono il disegno della pavimentazione originaria, è presente la cripta tutt'ora accessibile. Al centro di essa vi è un piccolo altarino, in corrispondenza di una piccola vetrata posta lungo il pavimento della chiesa, poco prima della lastra tombale del Garallo.
Le Statue
- S. Francesco di Paola
La statua di S. Francesco di Paola è collocata nella prima cappella sulla destra. In base all'inventario dei beni storico-artistici della Diocesi di Caltanissetta essa risale al XVIII secolo (in un periodo compreso tra il 1750 e il 1771).
Realizzata in legno scolpito e dipinto, raffigura il santo calabrese, compatrono della Sicilia dal 1738, in posa eretta; in particolare la statua è raffigurata a forma di S con le gambe protese verso la destra dell'osservatore, il busto arretrato a sinistra e la testa inclinata ancora verso destra (con un piccolo angelo sulla spalla sinistra del santo ad accentuare tale posizione).
Il santo, francescano e fondatore dell'ordine dei minimi, veste un lungo saio di colore scuro con la scritta charitas attorniata da raggi all'altezza del petto ed evidenziata dalla posizione delle mani. Con la mano destra il santo regge un bastone. Il volto ha un'espressione intensa, accentuata dallo sguardo rivolto verso l'alto, ed è caratterizzato da una lunga barba.
Nel complesso è possibile affermare che la statua è molto più espressiva, più 'umana', rispetto alla medesima statua di S. Francesco di Paola conservata presso la chiesa della Croce; inoltre la presenza, a Delia, di due statue del medesimo santo è testimonianza della grande diffusione del culto di S. Francesco di Paola nell'intera Sicilia.
Fonte: Inventario dei beni storici e artistici della Diocesi di Caltanissetta.
- Angelo dal manto verde
La statua dell'angelo con il manto verde è posta sul medesimo altare dell'Immacolata, alla sinistra della statua (la destra per l'osservatore). Di origine novecentesca (si tratta, infatti, di una statua realizzata dalla ditta Runggaldier di Ortisei (BZ)), è realizzata in legno. L'angelo è stato raffigurato in posa eretta, sopra una piccola nuvoletta, mentre regge un mazzetto di fiori con la mano sinistra; il braccio e la mano destri sono sollevati verso l'alto; in tensione anche la gamba destra dell'angelo mentre la sinistra, come è possibile rilevare dal panneggio del manto e dalla posa dei piedi, è in posizione rilassata.
L'angelo indossa una tunica di colore avorio e un manto verde con l'orlo dorato.
- Immacolata Concezione
La statua dell'Immacolata Concezione è collocata presso la seconda cappella lungo il lato destro della chiesa, procedendo verso l'altare maggiore. Di origine settecentesca (l'inventario dei beni storico-artistici della Diocesi di Caltanissetta la data in un periodo di tempo compreso tra il 1750 e il 1771; lo stesso altare dell'Immacolata venne rifondato, presso la chiesa di S. Antonio, nel 1726 e citato nell'inventario del 1771[1]), è raffigurata in posa eretta con le mani giunte all'altezza del cuore. E' vestita di una tunica bianca, stretta in vita da una cintura dorata, e con gli orli decorati; la veste è avvolta da un ampio manto azzurro trapunto di stelle dorate e una decorazione, anch'essa dorata, lungo l'orlo. La Madonna cinge, inoltre, una corona d'argento, arricchita da rubini, di origine ottocentesca; la testa è inoltre attorniata da uno stellario d'argento. Posta su una piccola nuvoletta, schiaccia un serpente con i piedi, vicino ai quali è posta una falce di luna in materiale ligneo.
La posa della statua, con la falce di luna, l'abito bianco e lo stellario, richiama molto da vicino il seguente passo dell'Apocalisse di S. Giovanni:
«E un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e una corona di dodici stelle sul suo capo […]» passo ripreso dal pittore spagnolo Bartolomé Esteban Murillo (1618-1682) per la raffigurazione delle sue Immacolate.
Il suo celebre quadro dell'Immacolata Concezione del 1678, conservato al Museo del Prado e una cui copia è riprodotta sullo stendardo dell'Immacolata usato a Delia in occasione dei festeggiamenti, ritrae la Madonna con una veste bianca avvolta da un manto azzurro, una falce di luna ai piedi e le mani che si giungono all'altezza del cuore come nella statua deliana; come la statua, anche lo sguardo della Madonna del Murillo è rivolto verso l'alto in modo tale da rendere la Madonna partecipe del disegno divino a Lei riservato.
Affiancano l'opera due statue di angeli.
- Angelo dal manto rosa
Questa seconda statua lignea completa il gruppo statuario dell'Immacolata Concezione presso il medesimo altare. Realizzata in legno scolpito e dipinto presso la ditta di arte sacra Runggaldier di Ortisei (BZ), questa statua raffigura l'angelo in posa eretta, sopra una piccola nuvoletta. L'angelo regge un candeliere con la mano destra (anche in questo caso il braccio è disteso lungo il fianco), mentre la mano sinistra è portata all'altezza del petto. L'angelo veste una tunica colore avorio, come l'altro angelo, mentre il manto è di colore rosa con orlo dorato.
Come l'altra statua, il volto appare rilassato, con una mimica facciale che sembra accennare ad un sorriso, i capelli sono lunghi e la testa è circondata da un'aureola metallica.
- S. Elisabetta d' Ungheria
Secondo l'inventario dei beni storico-artistici della Diocesi di Caltanissetta la statua di S. Elisabetta d' Ungheria sarebbe ottocentesca (realizzata tra il 1850 e il 1899).
Posta su un basamento in stucco, realizzato a parete all'altezza dei gradini che portano al presbiterio, essa è collocata sul lato destro della chiesa.
Realizzata in cartapesta, raffigura la principessa ungherese (1207-1231) canonizzata da papa Gregorio IX nel 1235. Dopo la morte del marito, Ludovico IV di Turingia, Elisabetta incrementò il proprio impegno caritatevole nei confronti dei poveri entrando nel Terz'Ordine francescano e dedicandosi, fino alla propria morte, alla cura dei malati dell'ospedale di Marburgo, che aveva fatto erigere in precedenza.
Elisabetta è stata raffigurata in posa eretta, sopra un piccolo piedistallo quadrato. Indossa una tunica di colore arancio, stretta in vita da una cintura di colore rosso. Sulla tunica indossa un ampio manto azzurro (esternamente) e verde (internamente) fissato all'altezza del collo da una fibula e orlato sia internamente che esternamente. Sul capo, coperto a sua volta da un velo bianco, è posta una corona di piccole dimensioni. Lo sguardo della santa è rivolto verso il basso mentre il braccio destro è leggermente alzato e il sinistro posto all'altezza del ventre quasi a tenere il mantello.
- S. Antonio Abate
La statua di S. Antonio Abate è posta all'interno di una nicchia sopra l'altare omonimo.
I registri di visita pastorale, conservati presso l'Archivio Diocesano di Agrigento, riportano la statua negli anni 1669, 1737, 1751, 1771 e 1830[1]; si fa riferimento ad una statua di S. Antonio anche in un documento del 1657 attraverso il quale il Vescovo di Agrigento concedeva alla confraternita la licenza di fare la processione, e lo stesso sac. Giuseppe Adamo ritiene che detta statua possa essere quella tutt'oggi esistente. Tale ipotesi, tuttavia, non trova conferma nell'inventario dei beni storico-artistici della Diocesi di Caltanissetta che data la statua in un periodo compreso tra il 1750 e il 1771.
In legno scolpito, intagliato e dipinto la statua raffigura S. Antonio in posa eretta, sopra un basamento quadrato. Il santo è vestito di una tunica bianca ricoperta quasi completamente dal manto nero sul quale spicca, all'altezza del petto, una piccola croce a forma di T. L'espressione del volto è rigida, severa, con lo sguardo fisso in avanti, quasi inespressivo. Lo stesso volto è caratterizzato da una lunga barba bianca a due punte e sul capo porta un'aureola con decorazioni dipinte in oro. Con le mani regge un bastone (alla propria desta) e un libro chiuso (a sinistra).
- S. Luigi Gonzaga
La statua è collocata su un basamento in stucco ricavato dalla parete, sul lato sinistro all'altezza dei gradini che portano al presbiterio.
Un altare di S. Luigi Gonzaga è citato, per la chiesa di S. Antonio, già nel 1737 ma è probabile che detta statua esistesse anche prima in quanto l'inventario dei beni storico-artistici della Diocesi lo data al 1725.
In materiale ligneo il santo è raffigurato in posa eretta, sopra un basamento quadrato, abbigliato con la talare nera rivestita da un rocchetto sul quale è appuntato un nastro azzurro all'altezza del petto. Il volto giovanile guarda il piccolo crocifisso che il santo tiene tra le mani.
- Santissimo Crocifisso
La statua del Crocifisso è posta nella seconda cappella lungo la parete sinistra della chiesa, procedendo verso l'altare maggiore; è l'unica cappella non decorata con le colonne tortili e il baldacchino.
Come riportato dai documenti conservati presso l'Archivio Diocesano di Agrigento e quello parrocchiale della Madrice, la prima notizia di un altare dedicato al Crocifisso si ritrova solamente nel 1771 ma detta statua esisteva all'interno della chiesa almeno dal 1698 in quanto citata nel testamento di un certo Pietro Spitaleri; lo stesso inventario dei beni storico-artistici della Diocesi nissena lo data tra il 1650 e il 1699.
Raffigurato come Christus patiens, già deceduto, il Crocifisso è scolpito in legno ed è caratterizzato sia da una non precisa resa anatomica del corpo (si guardino, ad esempio, i muscoli pettorali fusi con quelli intercostali, oppure i bicipiti nel punto d'intersezione con gli avambracci), sia dalla coloritura scura del legno. La statua risulta, inoltre, danneggiata dal tempo in alcune sue parti (la mano destra, i piedi). Come il Crocifisso della Madrice la statua presenta una grande ferita all'altezza dello sterno e una corona di spine molto simile; contrariamente alla medesima statua della chiesa Madre, la croce risulta troppo esile rispetto alle dimensioni del corpo.
- S. Biagio
La statua di S. Biagio è posta sul primo altare sulla sinistra della chiesa di S. Antonio (l'unico altare senza tabernacolo).
L'altare e, immagino, anche la statua vengono citati nei registri di visita pastorale degli anni 1669, 1677, 1737, 1771, 1827 e 1830. Da quanto visto quella di S. Biagio risulta essere una delle statue più antiche della chiesa tant'è vero che anche l'inventario dei beni storico-artistici della Diocesi di Caltanissetta la colloca in un periodo di tempo compreso tra gli anni 1590 e 1610.
Realizzata in materiale ligneo la statua raffigura S. Biagio, Vescovo di Sebaste (in Armenia), vissuto fra III e IV secolo d.C., in posa eretta sopra un basamento quadrato. Il santo è vestito con una talare rossa sopra la quale indossa un lungo rocchetto bianco, stola, croce pettorale e un lungo mantello. Il volto, dall'espressione rigorosa, è caratterizzato da una lunga barba. Sulla testa indossa una mitra decorata. Il santo alza la mano destra, in posa benedicente, mentre con l'altra mano regge un pastorale. Ai suoi piedi un pettine per lana a richiamare lo strumento con il quale venne torturato a causa della sua confessione religiosa e, di conseguenza, il suo patronato sui cardatori di lana.
Fonte: Inventario dei beni storico-artistici della Diocesi di Caltanissetta.