Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Monastero di S. Agostino
Via Gian Filippo,118
Il convento, situato ai piedi della collina che forma il quartiere di S. Lucia, innalza la sua vasta mole lungo la via principale della città. Era caratterizzato da due grandi chiostri, tutt'oggi esistenti anche se profondamente rimaneggiati, di cui il più recente fu costruito durante i lavori di ampliamento dell'edificio fatti eseguire nel 1700 dai fratelli fr. Domizio e fr. Angelo Prestilippi. Questi ultimi arricchirono inoltre di nuovi arredi il convento e di nuovi libri la sua biblioteca. All'interno della fabbrica si trovava una cappella di cui s'è persa la memoria e, accanto ad essa, la chiesa titolata a S. Maria de Auxilio, antica patrona della città.
La chiesa, successivamente dedicata dai monaci a S. Agostino, fu costruita tra la fine del XIV secolo e gli inizi del XV. Ricca di memorie storiche, essa era a tre navate sostenute da archi a sesto acuto, poggianti su colonne. Queste ultime furono trasformate in pilastri durante il periodo barocco, allorchè la chiesa fu di fatto, interamente ristrutturata. Abbattuta nel 1928, dopo la confisca dell'intero stabile da parte dell'autorità regia, al suo posto si costruirono il monumento ai caduti della guerra 1915-18 e l'attuale Piazza Vittorio Veneto. Nello stesso periodo anche il prospetto laterale del convento, attiguo alla chiesa, fu rifatto, seguendo i canoni dell'architettura fascista, per dare una sede adeguata alla Casa del Fascio ed un cineteatro alla città. Rimandiamo a tempi migliori una più puntuale analisi di questo interessante complesso architettonico, dato che solo ora, mentre scriviamo, siamo riusciti ad ottenere una documentazione più circostanziata della costruzione e che dobbiamo ancora esaminare. Nel 1860 il convento alloggiò le truppe garibaldine che, al comando di Nino Bixio, avanzavano verso Catania. Tra di essi si trovava lo storico Cesare Abba che lo cita nel suo libro Da Quarto a Volturno.