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::Castello saraceno a Caltavuturo » Storia

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Ove son or le meraviglie tue
O regno di Sicilia? Ove son quelle
Chiare memorie, onde potevi altrui
Mostrar per segni le grandezze antiche?

(Dal Fazello - Storia di Sicilia,
deca I,lib. VI,cap.I)



Castello saraceno

Castello saraceno




Il Castello saraceno di Caltavuturo, "Kalat-Abi-Thur", sorgeva a 739 metri di altitudine, sul terrazzo roccioso, detto Terravecchia (il centro abitato medievale), che sovrasta il paese, a controllo del fiume Imera. Il castello di fu realizzato dagli Arabi nel IX secolo. Nei suoi pressi si formò il nucleo abitato più antico di Caltavuturo, che nei secoli successivi prese il nome di Terravecchia.
Caltavuturo è attestata come centro fortificato fin da epoca bizantina; la fortezza è attestata a partire dal XII secolo. Mancano però notizie documentarie certe relativamente alla costruzione e alle trasformazioni del complesso castrale. Il viaggiatore alla corte di re Ruggero, Idrisi nel 1138 descrive difatti il castello Caltavuturo" di considerevole robustezza e ben popoloso".
Sul finire del Trecento del feudo e del castello di Caltavuturo risulta proprietario Lluis de Rajadell, camerlengo del re Martino I. Il secolo successivo i beni furono in possesso del catalano Ramon de Bages, dei Rosso Spatafora e, nei decenni a seguire, dei nobili Luna ai quali pervennero grazie al matrimonio di Beatrice Rosso Spatafora, signora di Caltavuturo e contessa di Sclafani, con il conte di Caltabellotta. L'unica "mappa" ricostruibile del Castello la si può dedurre da un inventario redatto nei primi decenni del 1400. Stalle e armerie, cucine, sale e stanze da letto, granai e cantine, e perfino un mulino consentivano agli abitanti del castello un buon livello di autonomia. In questo Castello trovò rifugio la madre di Gian Vincenzo De Luna, uomo violento e prevaricatore che, nel 1505, per un mese intero cercò di penetrare nel Castello dove sua madre, Beatrice Rosso, si era rifugiata per sfuggire alle sue ira. Per calmare Gian Vincenzo, dovette intervenire il Vicerè, il cui soccorso venne invocato dalla stessa Beatrice. I Luna, conti di Caltabellotta, nel 1500, non appartenevano a una qualsiasi famiglia feudataria. Basti considerare che Don Pietro De Luna, ebbe due mogli: la prima era la figlia del Vicerè De Vega, la seconda era la figlia del Vicerè La Cerda. Nel castello di Caltavuturo nacque Orazio, uno dei discendenti della famiglia Luna. Nei registri di battesimo della Matrice di San Bartolomeo, in data 24 aprile 1544, si annota il battesimo di don Ottavio, "figlio dell'Illustrissimo Don Pietro De Luna Padrone di questo Stato... e di Donna Colonna". Sino ai primi decenni del 1600 il Castello doveva trovarsi in condizioni discrete, infatti le sue carceri erano ancora in funzione, invece, successivamente, chi commetteva un reato perseguibile dall'autorità baronale, veniva incarcerato nel Castello di Collesano. Gli ultimi proprietari furono i Moncada, conti di Adernò.
Il piccolo Castello dominava tutto l'abitato solcato dalle vie che permettevano di raggiungere le varie chiese e principalmente le porte di accesso. Due porte consentivano l'ingresso nella cittadella munita di mura di cinta: la prima, detta "porta suprana", collocata accanto al Castello, permetteva di entrare dalla zona est; la seconda, nominata "porta Scillato", era collocata a ovest e stava sopra la Chiesa del Casale. Entrambe erano servite da gradinate praticabili a piedi o a cavallo. Dopo il Cinquecento il centro di Terravecchia cominciò a spopolarsi, fino ad essere completamente abbandonato nel XVII secolo. All'epoca infatti sorsero le prime abitazioni fuori dalla cerchia muraria, ovvero nel sito nel quale sorge attualmente il paese di Caltavuturo, che prenderà il nome di "Terranova".
L'incuria umana, unita al deliberato proposito di abbandonare quel sito, come pure i periodici terremoti ridussero l'antico paese allo stato di rudere definitivamente, al punto che per spiegarne il totale disastro sorse tra i caltavuturesi la leggenda che Terravecchia venne distrutta durante una guerra tra Caltavuturo e Sclafani.
Del castello di Caltavuturo in origine circondato interamente da mura, rimangono in particolare i resti di due edifici chiesastici e una serie di ambienti seminterrati, parti di mura perimetrali, spesse da 1,50 a 2 metri e realizzate con pietrame calcareo informe o appena sbozzato, cementato con malta. Una serie di fori con frammenti di travi al loro interno denota l'esistenza di ambienti con solai lignei o di camminamenti. Nelle tre torri, di cui due rettangolari ed una semicircolare, sono presenti tracce di volte in pietra. I cantonali sono costruiti con conci scelti e ben squadrati. Tutto il fronte orientale poggia su una massa rocciosa emergente su cui sono visibili manufatti murari relativi a partizioni interne.
La poca consistenza dei resti e la mancanza di fonti documentarie non consentono di seguire le vicende costruttive del manufatto. Non e possibile distinguere gli spazi aperti da quelli chiusi; ne esiste un qualsiasi riscontro per l'individuazione della porta d'accesso che, comunque, è verosimilmente da ipotizzare sul lato meridionale.
L'attuale configurazione del castello è comunque, certamente, il risultato di una serie di ampliamenti e trasformazioni apportate nel corso del tempo al corpo di fabbrica, in stretta relazione con la sua importante posizione strategica e con l'esistenza del borgo fortificato.
Un tempo il castello di Caltavuturo occupava una superficie di circa mille metri quadrati, vi si accedeva dal lato meridionale e comprendeva stalle, cucine, cantine e diversi altri ambienti, tra cui un mulino e le prigioni, che rimasero funzionanti sino al Seicento. Nella zona esposta a Nord-Ovest sono tuttora presenti una cisterna e strutture murarie conservatesi per 7/10 m di altezza (ad eccezione del muro meridionale completamente crollato).
L'area è stata sottoposta alcuni decenni fa ad un folto rimboschimento.




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