Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Tonnara di San Giorgio
Via A. Doria
La tonnara di San Giorgio, risulta avere origini precedenti all'insediamento urbano del paese, ossia intorno al 1060, così coem riporta il Gatani nel suo studio "Gioiosa nella sua origine ed evoluzione storica".
In questo studio viene riportato un dato molto importante che testimonia l'esistenza della tonnara:
"il Conte Ruggero della casa d'Altavilla, nel 1088, istituì in Patti il monastero dei Benedettini. A cominciare dal 1100 circa i villani di quel monte e anche gli altri del territorio circostante furono obbligati a sovvenzionare questo monastero.
Tra le dotazioni del monastero figura anche la tonnara di Calavà nel territorio di Gioiosa. Essa era certamente quella di San Giorgio, così chiamata poiché veniva calata più a ponente e quindi più vicina a quei luoghi".
Le documentazioni in possesso delle autorità riportano che l'attività della tonnara risale al 1407, secondo un rescritto del re Martino del 27 giugno, attraverso il quale egli donava in Feudum a Berengario Orioles, principe di San Piero Patti, il tratto di mare denominato "Sancti Georgii" (ossia dalla punta Fetente fino al vallone Salik, Saliceto) per calare la tonnara, la palamitara e altro.
Nel 1442, re Alfonso estese la donazione del mare fino alla punta di Mongiove; questo ampliamento viene confermato dalle documentazioni del 1460 e del 1580.
Nel 1508, re Ferdinando eresse terre e tonnare a baronia, conferendo a Pietri Servio Orioles il titolo di barone di San Giorgio.
Nel 1600, la tonnara passò nelle mani della famiglia Mastropaolo, famiglia nobile di Messina, in seguito allo sposalizio tra donna Flavia, ultimogenita della casa Orioles, e don Francesco Mastropaolo.
Intanto, in tutto il territorio circostante, iniziavano a nascere i primi insediamenti abitativi, compresa una chiesa; secondo la documentazione di lettere viceregie in Palermo del 23 ottobre 1679, si dava la facoltà di poter fabbricare una chiesa al sacerdote don Cono pisano, arciprete della terra di Gioiosa Guardia.
Nell'anno successivo, vi fu un'ordinanza del vescovo di Patti, monsignor Martinelli, che proibiva ai cappellani delle chiese fuori dalle mura di Gioiosa Guardia l'istruzione della dottrina cristiana; da questo divieto fu esclusa la chiesa di San Giorgio, per il semplice motivo che quest'ultima era frequentata costantemente dai pellegrini viaggiatori e soprattutto da gente di mare.
L'ordinanza conferma, infatti, che molta gente dei paesi vicini si recava a San Giorgio per la pescosità delle sue acque e in particolare per la pesca del tonno.
Documenta anche l'esistenza di una chiesa, ossia cappella del palazzo dei proprietari della tonnara.
A quei tempi, le acque del mare lambivano la costa molto più a monte rispetto all'attuale battigia. Non esisteva il borgo, ma solo spiaggia ricoperta di paludi e cannicci; c'era solo il malfaraggio della tonnara con l'insieme dei suoi locali, compreso il palazzo e la chiesa, situati a circa 100 metri a monte dell'attuale ferrovia, come si evince dalla cartina raffigurante il sito di San Giorgio redatta nel 1790 dal duca Francesco Carlo D'Amico, bisnonno del conte Cumbo.
Il malfaraggio era disposto su di un vasto cortile, detto baglio, vegliato dalla torre di guardia di forma circolare, di cui ancora oggi esiste il rudere, costruita per difendere la costa e la tonnara dalle frequenti incursioni dei pirati saraceni.
Nel 1720, Giovanni Mastropaolo lasciò in eredità sia la baronia che la tonnara al Convento di San francesco d'Assisi de' Chiovari di Palermo, poiché egli non aveva avuto figli.
Il Convento, nell'anno seguente, diede in concessione la tonnara e la baronia al barone Giuseppe Accordino di Patti, il quale però non rispettò gli accordi stipulati con i frati, cosicché nel 1722 gli venne confiscata.
Nel 1731, la Real Cancelleria diede in affitto la tonnara a don Antonio Claves, che la calò per due anni, per poi lasciarla abbandonata.
Nel 1750, il convento di San Francesco di Palermo propose al real Governo che l'eredità della tonnara si alienasse. La proposta venne accolta dal Real Governo e lo stesso nel 1751 la vendette al duca don Mariano Cesare D'Amico.
Il successore del duca fu il figlio Francesco Carlo D'Amico, duca d'Ossada e di San Giorgio, il quale al termine degli studi, nel 1758 decise di mettere in esercizio la tonnara con l'aiuto degli zii materni Antonio e Paolo Proto, che misero a disposizione del nipote reti e attrezzi della tonnara di Malpetito nella marina di Milazzo.
Nel frattempo, nel territorio sangiorgese nascevano i primi insediamenti stabili, come risulta da un censimento del 1759. In questa storica data, per la prima volta furono censiti nel distretto di Galbato, di cui San Giorgio faceva parte, venti abitanti e sei famiglie.
Non poche furono le difficoltà che il giovane duca dovette afrontare. Essendo lui socio nelle due tonnare di Milazzo e di Oliveri e avendo subito delle perdite nella tonnara di San Giorgio, venne pressato dai suoi soci affinché abbandonasse detta tonnara.
Ma su consiglio del Rais Antonino Salmeri di Milazzo, secondo il quale la tonnara non aveva una buona posizione, chiese e ottenne di calare la tonnara settecento canne più a ponente, in testa al capo e alla Fetente, con l'intento di abbracciare tutto il golfo di Milazzo e Oliveri e in modo da poter pescare tutti quei tonni che affioravano dal capo del Tindaro e Mongiove e in modo tale da evitare gli scogli della Gargana sotto il Saliceto.
Quanto sopra venne portato dal giovane duca nel congresso con i parenti, i rais e i soci delle altre tonnare e malgrado qualche parere contrario, il rais Antonino Salmeri riuscì a convincere tutti i presenti; così nel 1770 venne calata la tonnara nel sito stabilito, ottenendo una pesca di seimila quintali, nonostante il danneggiamento delle reti dovuto alle forti correnti.
Nel 1782, lo stesso barone D'Amico, su consiglio del rais Innocenzo Mancuso, della tonnara dell'Arenella di Palermo e del principe di Fitalia Giarratana, irrobustì la tonnara contro le forti correnti introducendo mille rizzare, ossia pietre per piombo e 120 ancore.
Nel 1785, egli si trovò in conflitto con il vescovo di Patti, Matteo Fazio, che pretendeva il diritto di calare la tonnara nel mare di Roccabianca, in merito a un rescritto del re Martino del 2 giugno 1406; rescritto che però era in contrasto con quello del 1442 del re Alfonso, il quale ampliava i confini della tonnara di San Giorgio fino a Mongiove.
Nel 1795, il duca D'Amico, economicamente risollevato grazie all'attività della sua tonnara, riuscì a togliersi il fastidioso disturbo del vescovo di Patti. Il contrasto venne risolto con l'atto del 17 marzo 1795, con il quale il vescovo di Patti, don Giuseppe Migliaccio, concesse in enfiteusi perpetua al duca d'Ossada la tonnara di Roccabianca con il suo golfo di tre miglia, ossia fino al capo di Mongiove.
Così i D'Amico ebbero finalmente il totale controllo del golfo di Patti e furono in grado di rifornire con il loro tonno salato la Sicilia, Napoli, Salerno e la Toscana.
Quella del tonno sott'olio fu invece una felice intuizione della famiglia Florio, che era presente, oltre che nel tradizionale mercato, anche in Piemonte, Liguria, Lombardia e Veneto.
In seguito furono i Cumbo a continuare la tradizione industriale dei D'Amico (i quali investirono nella tonnara di San Giorgio, trasferendo l'antico malfaraggio, poi venduto dal conte Antonino Cumbo al barone Natoli di Gioiosa Marea, poiché lo stesso risulava essere troppo lontano dal mare a causa dell'interramento del golfo di Patti).
Nei diari del conte Antonino Cumbo Borgia, la costruzione del nuovo malfaraggio tardo-ottocentesco viene annotata negli anni 1881-1882.
Il conte Antonino Cumbo, dopo che venne a mancare la sua giovane sposa, donna Francesca, figlia di Rosa D'Amico sposata in Calcagno e madre di Diego, si associò al figlio Diego nell'acquisto della tonnara e della baronia di San Giorgio dall'ava materna, donna Rosa, per 3500 onze.
Il borgo prendeva il nome del toponimo del mare e della tonnara "Sancti Georgii", riportato nelle cartine toponomastiche del tempo e nel rescritto regio dell'atto di fondazione della tonnara del 27 giugno 1407.
Solo successivamente, però, i pescatori elessero a loro protettore il santo martire San Giorgio di Cappadocia; i Cumbo accettarono volentieri questa dedicazione, facendo realizzare sul prospetto del "VARCARIZZU" (magazzino per le barche e altri materiali) un'icona votiva del santo dipinta su piastrelle, ancora oggi presente sul prospetto della nuova costruzione.
Verso la fine dell'ottocento veniva costruita la ferrovia Messina - Palermo, che di fatto divideva in due la baronia dei Cumbo.
La baronia era costiruita da vigneti, uliveti, stalle, animali, tonnara, arenili e spiagge.
Il conte Diego Cumbo era un ingegnere e amava molto investire buona parte del suo patrimonio in esperimenti costosi, come l'introduzione di una nuova lavorazione del tonno, ossia il tonno sott'olio (1898).
Sulla prima etichetta del tonno sott'olio, erano raffigurati il malfaraggio con le barche della tonnara, alla sinistra dello stabilimento il pennacchio di fumo della ciminiera e sopra e sotto due pergamene con il nome del prodotto e del luogo di preparazione. In alto, in due lunette più piccole, vi era lo stemma araldico di casa Cumbo col nodo gordiano in campo e la spada posta in banda e appuntata al nodo. Di fronte, il santo: San Giorgio che uccide il dragone, in pegno di nuove mattanze che avrebbero assicurato la materia prima per il sott'olio.
Il figlio di Diego Cumbo u cuntinu, venne a mancare prematuramente a causa di una polmonite fulminante contratta durante una festa da ballo. Il dolore fu talmente grande che la madre non ebbe più il coraggio di entrare nella camera del giovane, tanto che la fece murare sia dall'interno che dall'esterno.
Dopo la morte del conte Diego, la figlia maggiore, Luisa, prese le redini della famiglia, dirigendo fermamente l'attività della tonnara fino a quando non si sposò con il cugino Diego Ricotti, ingegnere e ricco proprietario di tonnare, e si trasferì in Libia.
Delle altre figlie del conte, Renata si sposò con don Francischinu Avola, proprietario di tonnare nel trapanese;
Cristina rimase nubile;
Checchina si sposò con un facoltoso possidente terriero di Mistretta, don Lucio Salamone, comunemente chiamato "u signurinu", che divenne il manager della tonnara e di tutti i beni.
Ma con il trascorrere degli anni, la pesca del tonno divenne sempre più grama a causa dell'inquinamento delle acque del mare, dei cambiamenti climatici e anche per via di nuovi sistemi di pesca indiscriminata dovuta a battelli molto attrezzati.
Molte tonnare chiusero la loro attività e nel 1963 cessò definitivamente anche quella di San Giorgio.
Dopo la morte di don Lucio Salamone, la moglie e la sorella si trasferirono a Roma presso la figlia Maria.
Agli inizi degli anni settanta, i Cumbo vendettero la tonnara a una cooperativa tripolitana, la quale nel 1973 fece un ultimo tentativo di pesca rivelatosi, purtroppo, infruttuoso e che determinò la definitiva decadenza della tonnara.
Tutto il malfaraggio venne acquistato da una società per azioni che lo distrusse cambiando la destinazione d'uso in residence, poiché il paese ormai era destinato a uno sviluppo turistico di tipo balneare.
Per quanto concerne, invece, il vecchio malfaraggio dei D'Amico, già venduto al barone Natoli di Gioiosa Marea, esso presentava un ingresso enorme con salone che portava al primo piano, dove si trovavano il salone e le sale elegantemente decorate e arredate, in particolare le camere da letto con le pareti affrescate con figure di angeli.
Sul lato sinistro del portone d'ingresso si ergeva una cappella. Sopra il portone faceva di se lo stemma della famiglia D'Amico; alla sinistra c'erano i locali, con un porticato per il riparo delle barche della tonnara, cui seguivano allineate delle casette basse, come la loggia, il razzanà; fuori c'erano grandi vasche d'acqua, dodici ciminiere e le abitazioni dei dipendenti.
Il tutto era contornato da agrumeti, uliveti, vigne e stalle.
Nel 1957, il palazzo con tutto lo stabilimento venne acquistato da Giuseppe Ingrillì, commerciante di Capo D'Orlando, che vi abitò per tanti anni insieme alla sua famiglia.
Nel 1978, venne venduto a una società per azioni e intorno agli anni ottanta venne demolito per realizzare un residence, oggi condominio Libertà.