Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Cuba di Milazzo
All'interno di un grande complesso di centri commerciali, in contrada Masseria, giacciono i ruderi de La cuba di Milazzo (a pochissimi metri dalla Cuba è stato edificato un McDonald). La struttura risulta di difficile identificazione e del complesso monastico è giunto ai giorni nostri solo l'edificio sacro. Si tratta di una singolare costruzione cubica. Si accede all'unico vano esistente per mezzo di un ingresso a sesto ribassato posto lungo la parete meridionale. L'ambiente interno risulta illuminato da due finestre quadrate poste lungo le pareti orientale e occidentale. Entrambe le aperture parrebbero risalire a non prima del XVI secolo. La tecnica muraria si compone di pietrame locale unito da malta e presenta numerosi rifacimenti, che i recenti restauri hanno contribuito in parte a nascondere. Solo i cantonali si presentano rinforzati da conci squadrati di arenaria locale. Il vano interno è coperto da una cupola sorretta agli angoli da semplici pennacchi. Nell'angolo di nord-ovest è stato praticato un foro che consente, tramite scala in legno, l'accesso al piccolo terrazzo. L'edificio è stato infatti rialzato al fine di coprire la cupola per mezzo di una sovrastante copertura piana e secondo l'intento di trasformare la chiesa in una bassa torretta. La parete occidentale soffre di una discontinuità della muratura all'altezza della finestra a sesto ribassato. Questa discontinuità dovrebbe essere il risultato del crollo di parte della cupola, oggi reintegrata. La massa cubica della “cuba” di Milazzo trova similitudini con la “cuba” di Malvagna, con la quale condivide senza ombra di dubbio forma e dimensioni. In pianta, infatti, entrambi gli edifici mostrano misure simili, circa 5 metri per lato. Anche la cupola possiede una tecnica edilizia non dissimile, sebbene nel caso della cuba di Milazzo si sia lasciato maggiormente spazio all'utilizzo di terracotta nella forma di laterizi o tegole. è probabile che l'edificio milazzese, così come la cuba di Malvagna, fosse arricchito dalla presenza di absidi, nel numero di tre edificate lungo tre lati dell'edificio, escluso il versante dell'ingresso. La maggior parte delle “cube” siciliane sono infatti triabsidate, salvo alcuni edifici a pianta basilicale, presso i quali si osserva una sola abside rivolta ad oriente e due absidiole laterali (è il caso della Cuba di Castiglione o della chiesa del monastero di S. Maria di Mili). Se si procede per confronti tipologici, sarebbe dunque lecito ritenere che la cuba di Milazzo sia stata mutilata delle absidi presumibilmente nel periodo in cui si decise di trasformarla in bassa torre. Le tracce dell'abbattimento non sono così evidenti come si possa credere.
La mancanza di dettagliati rilievi della muratura e i due interventi conservativi avvenuti tra il 1997 e il 2010 certamente non aiutano a individuare con certezza nella tessitura muraria quegli elementi di discontinuità che si percepiscono maggiormente lungo il lato occidentale e lungo la muratura del lato orientale, presso il quale sembra di poter riconoscere labili tracce dell'antico arco absidale poco sopra l'attuale finestra. Così come la cuba di Malvagna, anche quella di Milazzo non conserva tracce di affreschi, l'unico ambiente risulta spoglio di qualsivoglia decorazione architettonica, i pennacchi non sono caratterizzati dalla presenza di archetti che impreziosiscono l'interno della cuba di Malvagna. Sebbene sia probabile che tutta la decorazione architettonica e pittorica sia andata perduta nei secoli a causa dei numerosi rifacimenti e riadattamenti, è anche vero che la massa cubica della cuba milazzese restituisce un sensazione di estrema austerità e semplicità che altre cube siciliane non restituiscono. Riguardo alla datazione non si può ignorare quanto Freshfield ipotizzò per le cube di Malvagna, Maccari e Santa Teresa nel 1918. Ritenne infatti, per ragioni prettamente storiche, di poter datare tali strutture in un arco di tempo compreso tra il VII sec. d.C. e il IX/X sec. d.C, cioè tra la completa grecizzazione dell'isola e la conquista musulmana. Alcune di queste strutture sopravvissero alla conquista araba anche grazie alle ridotte dimensioni e tornarono a ricoprire un ruolo di rilievo all'interno della riforma che, durante il Regno Normanno di Sicilia, interessò il monachesimo greco.
Altre tracce di cube si trovano a Randazzo in contrada Imbischi - Acquafredda, in contrada Jannuzzo ed in contrada Sant'Anastasia, a Torrenova e nel siracusano. Vi sono poi i ruderi della chiesa di Santo Stefano a Dagala del Re (Santa Venerina) di datazione incerta tra il VII ed il IX secolo, dove resistono tracce del nartece forse più tardo, nella Cappella Bonajuto di Catania, a Torrenova e la Trigona di Vendicari nel siracusano Approfondimenti Dai documenti di epoca normanna si apprende dell’esistenza di almeno due metochi siti nella piana di Milazzo. Il primo risulta grangia del SS. Salvatore di Messina già dal 1133 d.C.
Sulla localizzazione di questo monastero si pronunciava il Filangieri , ritenendo che esso dovesse situarsi non lontano dall’omonima località posta lungo costa occidentale della penisola di Milazzo. Sembra che negli anni ‘70 del XX secolo esistessero alcuni ruderi relativi al complesso sacro ancora in attività nel XVI secolo.
Nel 1520 si registra, infatti, l’elezione di un abate. Oggi si fatica a riconoscere l’omonima località e le tavolette IGM 1:25000 non segnalano alcun toponimo legato alla presenza del monastero di S. Teodoro lungo tutta la penisola e la costa a sud-ovest di Milazzo. Tuttavia, maggiori informazioni sull’esistenza del S. Teodoro provengono dal Perdichizzi, storico della fine del XVII secolo, fonte sconosciuta al Filangieri e oggi nota grazie ad una recente pubblicazione. Il cronista localizza i ruderi del monastero di S. Teodoro lungo la penisola, esattamente a nord-est, ricordandolo vicino al mare. Egli sottolinea l’esistenza di ben due nuclei religiosi, quello originario, presumibilmente di epoca normanna, limitrofo alla costa, distrutto dai corsari e un secondo, più recente, edificato lontano dal mare e altrettanto diruto. Il secondo metochio milazzese è noto attraverso un documento del 1144 d.C., un diploma rilasciato da re Ruggero. Il testo è relativo ai possedimenti del monastero di S. Maria di Gala e riprende l’originale atto di fondazione rilasciato dalla Contessa Adelasia nel 1105 d.C.
. Nel documento si menziona il monastero citato dal Pirri . Del monastero di S. Euplio sembra non si conoscano elementi certi al fine di ubicarlo con precisione
, sebbene Il Perdichizzi ne segnali la presenza non lontano dal Capo Milazzo, dal forte o torre di Levante e da una rinomata fonte d’acqua (acqua di S. Euplio o dei Piedegulli). Pare che nel XVII secolo fosse ancora possibile distinguere i ruderi del complesso sacro e della chiesa. Sulla localizzazione di entrambi i metochi, S. Teodoro e S. Euplio, si ritiene il Perdichizzi fonte abbastanza attendibile, dal quale non è possibile prescindere. Allo stato attuale degli studi, la cuba di Milazzo rimane, di conseguenza, anonima al pari delle cube edificate lungo la Valle dell’Alcantara (cuba di Malvagna, cuba Imbischi, cuba Ianazzo).
Sarebbe possibile giudicare il piccolo fabbricato alla stregua di un edificio religioso rurale, presumibilmente facente capo ad un piccolo metochio oggi scomparso, anche al servizio del contado circostante.
I rilievi IGM 1:25000 segnalano contrada Masseria al centro di un crocevia di sentieri e carrozzabili che della piana di Milazzo conducevano direttamente lungo la costa.
La strada più breve verso il porto ? una carrozzabile, che svolge il suo percorso in maniera più o meno agevole in direzione nord-ovest. Del cammino si possono rilevare alcune porzioni. Da contrada Masseria la carrozzabile volge in direzione nord-ovest, transitando attraverso “Parco Vecchio” fino a località Madonna del Piano. Qui un bivio consente di raggiungere immediatamente la costa verso nord o, piegando verso occidente, la carrozzabile prosegue per la pianura, concludendosi non lontano da località S. Paolino e nei pressi del porto. Il tragitto è sommariamente segnalato dalla cartografia borbonica ed è lecito suppore che abbia origini ben più antiche.