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O regno di Sicilia? Ove son quelle
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(Dal Fazello - Storia di Sicilia,
deca I,lib. VI,cap.I)



Castello Barresi

Castello Barresi




Il castello è ubicato sulle quote più alte della cresta rocciosa che domina il paese; su quelli rupi a strapiombo dominanti la valle dell'Himera dove già in precedenza i Bizantini, i Romani, i Siculi e molto innanzi i Sicani avevano eretto opere di difesa, di culto e di misurazione astronomica.
La storia de Castello di Pietraperzia prende inizio dall'anno 1060, quando al seguito del conte Ruggero il Normanno, arriva in Sicilia Abbo Barresi, vassallo della casata degli Aleramici,
Conquistata l'intera isola, il conte volle ricompensare il suo fedele alleato donandogli alcune terre tra cui territorio di Pietraperzia e Sommatino.
La tradizione,infatti, vuole che sia stato Abbo I Barresi, a costruire il castello su concessione de Conte Ruggero; la notizia, però, manca di un riscontro documentario.
E' certo comunque che furono i normanni , negli anni precedenti la presa di Butera (tra il 1072 e il 1088), a ricostruire e ampliare quella che era stata una fortificazione islamica espugnata, adattandola alle nuove tecniche di difesa.
Nel 1154, Edrisi , nel libro di Ruggero (Amari 1880-81, I, p, 102.), così descriveva il Castello Barresi: «Robusto castello e ben saldo fortilizio, ha i confini molto estesi».
Furono le numerose grotticelle, siti di tombe preistoriche (o tombe castellucciane) scavate sulle pareti rocciose, presenti su tutto il territorio, a fare denominare il castello e il luogo come Pierre-percèe, in dialetto siciliano petri pirciati che significa "pietre forate".
Come d'altronde avvenne per molti altri luoghi dell'Isola in epoca normanna, intorno al castello si formò anche un primo nucleo del paese, quello del quartiere "Terruccia ".
Castello e "terra" di Pietraperzia rimasero demaniali anche sotto gli Svevi, nonostante il fatto che uno storico locale, frate Dionigi, vissuto nel XVIII secolo, sostenga che nel 1200 Federico II abbia concesso ad Abbo Barresi questa baronia per i suoi meriti.
Certo è che nella prima metà del XIII la fortezza subì un'altra massiccia ristrutturazione ma fu solo nel primo periodo della dominazione aragonese, ch'essa fu concessa a un rappresentante della famiglia Barresi.
Quando Pietro d'Aragona sbarcò a Trapani (1282) per rivendicare la corona in nome della moglie Costanza, i Barresi Enrico e Giovanni divennero suoi alleati.
Alla morte del re Pietro d'Aragona (1296), tra i suoi due figli, Giacomo e Federico, scoppiò una cruenta lotta per il potere (la "Guerra del Vespro"); in questa occasione i Barresi, si schierarono con Giacomo dalla parte degli Angioini, mettendo a disposizione dei Francesi i propri castelli tra cui anche il castello di Pietraperzia, che si dimostrò un baluardo imprendibile.
Federico d?Aragona mandò contro i Barresi i migliori capitani del suo esercito, ma il castello di Pietraperzia resistette egregiamente a tutti gli assalti fino a quando venne espugnato per fame da Manfredi Chiaramonte nel 1293. Vennero abbattute la torre della parte occidentale e gran parte delle altre mura.
I Barresi, allora, furono mandati in esilio.e le loro terre confiscate. Castello e "Terra" di Pietraperzia passarono nel 1298 ai De Verga.
Successivamente il feudo viene incamerato dal regio demanio per ritornare, nel 1320, ancora una volta a un Barresi, Abbo IV figlio di Giovanni, che sposa Ricca La Matina, dama della regina Eleonora.

Con la pace di Caltebellotta, infatti, la Sicilia fu lasciata a Federico II il quale sposò Eleonora, figlia del re Angioino che divenuta regina, fece riabilitare i Barresi che ottennero la restituzione dei loro beni.
Cosi nel 1320, Abbo Barresi, figlio di Giovanni entrava di nuovo nelle grazie di Federico II rimpadronendosi del castello e delle terre che erano state confiscate al padre.
Abbo Barresi abitò con la moglie a Pietraperzia ed iniziò la ricostruzione del castello aggiungendovi un torrione quadrangolare. Alla morte di costui, l'edificio passò nelle mani del suo primo genito Artale , questi a sua volta lo diede al fratello Ughetto e cosi via di generazione in generazione.
In questo periodo la cinta muraria del castello viene rafforzata con nuove torri sia quadrangolari che circolari e verso fine secolo Giovanni Antonio Barresi decide la costruzione di un terzo grandioso edificio a poca distanza dal torrione trecentesco.
Lo sviluppo del castello avvenne in tre fasi successive, e i lavori ultimati nel 1526 dal marchese Matteo Barresi.
Vito Amico sostiene , infatti , che a rendere abitabile la fortezza fu nell'anno 1520 proprio, "Matteo Barresi, primo marchese del medesimo" (Dizionario topografico della Sicilia, Palermo 1855, vol.II).
Si tratta di una costruzione di pianta rettangolare ad una quota inferiore rispetto ai precedenti edifici.
Nel 1571, con la morte di Pietro Barresi il titolo ed il castello passano alla sorella Dorotea che sposa Giovanni Branciforte, duca di Mazzarino, il cui figlio Fabrizio trasforma l'antica fortezza in quell' elegantissimo palazzo fortificato che è giunto intatto fino agli inizi di questo secolo.
Nel 1605, Stefania Branciforte, erede del titolo e del castello, sposa Giuseppe Lanza, duca di Camastra.
Nel Sei e Settecento il castello fu la principesca dimora dei signori che nella zona si preoccuparono di incrementare l'agricoltura e popolare le loro terre con vendite agevolate ad enfiteusi.
Anche i Lanza di Trabia, che succedetero ai Branciforte, ebbero cura delle buone condizioni del castello.
Nel 1812 , Caterina Branciforte concede al comune di Pietraperzia l'uso dei piani cantinati dell'edificio come carcere mandamentale: tale utilizzo durerà fino al 1906.
Nel 1820, durante i moti il castello viene saccheggiato e privato degli infissi, degli arredi e delle armi della grande armeria.
Nel 1837 alcuni locali vengono adibiti a lazzaretto in occasione di epidemie.
Nel 1838 il terremoto provoca seri danni alle strutture.
1878: il comune avanza richiesta ai nuovi proprietari, i principi Lanza di Trabia, per la cessione del complesso monumentale.
Nel 1896, il castello viene assalito durante la rivolta dei Fasci dei lavoratori per liberare i detenuti.
Nel 1898 - sgombero delle carceri.
Nel 1910 - il castello viene nuovamente utilizzato come lazzaretto nel corso di una epidemia di vaiolo.
Nel 1912 una commissione tecnica del Genio Civile di Caltanissetta, in seguito ad un sopralluogo, consiglia agli ultimi proprietari, i Lanza di Trabia, l'esecuzione di restauri che non sono stati mai realizzati.
Nel 1938 vengono costruite, all'interno e a ridosso del castello, le strutture del serbatoio idrico comunale, provocando un notevole danno architettonico con l'abbattimento di alcune fabbriche antiche e nel 1941 della grande torre.
Il maestoso Castello, fino ai primi anni del 1900, si era mantenuto quasi del tutto integro nelle sue diverse componenti architettoniche, poi vari terremoti e la colpevole incuria delle autorità competenti, lo ridussero a poco più di un rudere. Verso la fine del secolo scorso, crollarono un tetto e una parte del muro perimetrale di settentrione.
Il materiale con cui molte parti e decorazioni erano costruite, la malta di gesso, era d'altronde molto vulnerabile, assenti ogni cura e manutenzione, all'azione degli agenti atmosferici o del tempo, cosi come scadente era pure la qualità di qualche rifacimento fatto con una rozza tecnica costruttiva.
Senza contare, naturalmente, l'opera vandalica degli uomini che negli ultimi decenni hanno scavato dappertutto rovinando strutture murarie, stucchi e affreschi
Solo verso la seconda meta degli anni '80 , tra il 1985 e il 1986, si è finalmente intervenuti con lavori di restauro che hanno consentito la scoperta di ambienti e mura prima nascosti permettendo una più chiara lettura dell'edificìo e impedendo il crollo di altri locali pericolanti.
Attualmente la proprietà è comunale.
Quanto rimane è tuttavia degno della massima attenzione, trattandosi di uno dei maggiori esempi di architettura castellana della Sicilia. Del periodo di grande splendore della famiglia Barresi, nello scorcio del sec. XV con Giovanni Antonio II e Matteo, e nel sec. XVI, culminato con le nozze dell'ultima rappresentante, principessa Dorotea, con il Conte di Castiglia Giovanni Zunica Requens ambasciatore presso la Santa Sede e poi Viceré, c'è testimonianza anche nei rari e preziosi pavimenti in maiolica monocroma blu cobalto su fondo bianco, di provenienza iberica e in parte di fabbrica siciliana.
I ruderi architettonici del complesso castellano si trovano ubicati grosso modo in tre collocazioni diverse (caratterizzate da sottostanti antiche escavazioni artificiali) in dipendenza delle diverse epoche in cui sono stati realizzati.
Sulla cresta del rilievo roccioso, i resti (ormai scarsi) del primo castello dominano il centro abitato ed un vasto teatro paesaggistico.
Gli edifici costruiti nel quattro-cinquecento sono stati raggiunti dall'espansione del centro abitato cancellando cosi i vecchi rapporti di distanza fra il borgo ed il castello.
Il rapporto paesaggistico piu integro e suggestivo è quello che si conserva sul versante che guarda Caltanissetta, opposto a quello sul quale si sviluppa il centre abitato.
Qui sia le torri medievali, ormai squarciate, sia l'imponente fronte dell'edificio quattrocentesco (con le sue finestre che si aprono nel vuoto) si affacciano su di un ripido e selvaggio declivio costellato da rupi emcrgenti.
Più in basso la mole squadrata del torrione trecentesco ridotto quasi alla metà del sue volume dal crollo di una sua porzione verticale. Parzialmente riconoscibile la cinta con le sue torri circolari.
Infine l'unico edificio che si presenta con una riconoscibile planimetria unitaria e regolare: la grandiosa costruzione palazziale quattro-cinquecentesca su una pianta rettangolare oblunga con corte interna a cielo aperto a causa dei crolli che in epoca recente l'hanno ridotta a più monconi.
In alcuni ambienti sotterranei, identificabili come prigioni, sono stati di recente rinvenuti interessantissimi graffiti: sono presenti scene di caccia, esecuzioni capitali, forche e patiboli, imbarcazioni, volti e figure umane, scritte, nomi, date (quelle leggibili si concentrano nel XVI secolo), croci, stelle, uccelli.
Il fronte nord, di 122 metri ed alto quattro piani, era suddiviso in tre distinte parti che rispecchiavano le diverse epoche di costruzione normanna, sveva e catalana.
Numerosissime erano le finestre, alcune delle quali offrivano all'interno, accanto agli stipiti, due sedili in pietra che invitavano a sedersi ad osservare lo stupendo panorama delle valli sottostanti.
L'edificio in origine racchiudeva un'area di circa 20.000 metri quadrati. Le mura si estendevano per 1.150 m ed in alcuni punti raggiungevano oltre 4 m. Lungo di esse si elevavano diverse torri e bastioni di cui non e rimasta traccia, ad eccezione dei resti di un torrione merlato detto "Corona del Re" e della Torre quadrangolare dell'ingresso, nonchè di alcuni bastioni a sud e a nord.
Al centro, accanto alla "Corona del Re", si erge il "mastio". Questa struttura doveva servire come ultima difesa, era situato sopra la cima del colle ed in parte era stato ricavato nella viva roccia, costituendo così un inespugnabile baluardo di eccezionale robustezza . La porta d'ingresso al castello era rivolta a mezzogiorno, quella del mastio a nord-ovest; ad esse si poteva accedere dal cortile interno tramite gradini ritagliati nella roccia. Sotto al "mastio" sono ancora visibili i gradini, ritagliati nella roccia, che portavano alle prigioni sotterranee, ed alla torre della "Corona del Re"a base ottagonale.
Una leggenda vuole che le stanze del castello fossero 365, quanti sono i giorni dell'anno; elevate su quattro piani, quante le stagioni dell'anno, esso aveva 12 torri, tanti quanti sono i mesi.
La cappella, ad unica navata, era abbellita con affreschi e da un dipinto raffigurante la Madonna della Catena. Di fronte alla cappella, un portale conduce ad un ampio cortile, un tempo ricco di elementi decorativi [capitelli, bassorilievi, pilastri, colonnine e sculture] che in buona parte furono asportati dai principi Trabia Lanza e trasferiti a Palermo.
Al di sotto del salone c'era la sala d'armi, in cui venivano custodite armature di cavalieri e di cavalli, elmi, spade ed alabarde, che, trasferite al Museo di Agrigento, furono saccheggiate dai rivoltosi nel 1820.
Come si raggiunge: uscendo dallo svincolo per Pietraperzia dalla strada a scorrimento veloce Caltanissetta-Gela; il suo ingresso e in via San Francesco 1.
Aperto alla visita (dietro prenotazione).



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