Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Portale di San Giorgio-Ragusa
Via dei Normanni, 8
Di certo esisteva una antica Chiesa dedicata a San Giorgio, nei pressi dell'antico castello, edificio sacro innalzato nel periodo greco-bizantino, di cui non si hanno notizie certe. Durante il dominio dei Chiaramonte il Conte Simone si preoccupò di far erigere, intorno al 1349, una seconda e più maestosa Chiesa dedicata al Santo Protettore. La datazione è importante per stabilire l'epoca a cui appartiene l'unico resto a noi pervenuto di tutto l'edificio, il magnifico Portale divenuto quasi il simbolo della città.
Molti hanno ritenuto per anni che detto Portale fosse stato costruito intorno all'XI - XII secolo, addirittura uno studioso palermitano, il Cannizzo, ne fissò la data intorno al 1150, adducendo a sostegno della tesi che il portale non fosse in stile gotico ma piuttosto in stile siculo-arabo-normanno.
La costruzione va di certo ascritta al periodo normanno, nel '400, e a sostegno di questa tesi vi è la presenza di due aquile scolpite nei quadri a spola fiancheggianti la Croce, che si rifanno a quanto i Chiaramonte operarono similmente in altri edifici.
La Chiesa, a giudicare dal Portale rimasto, doveva essere di grande magnificenza, in linea con l'estetica che lo stile ogivale esigeva: si trattava di un grande Tempio a tre navate separate da sette colonne per lato, arricchite da ben 12 altari oltre quello principale ed i due delle cappelle laterali dell'abside e al Fonte Battesimale. Antistante il tempio un cortiletto delimitato da un muretto di pietra locale e tre cancelletti d'accesso posti di fronte ad ogni apertura. Sulla facciata cinque statue rappresentavano il Salvatore al centro, i Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista da un lato, Pietro e Paolo dall'altro.
Sul lato sinistro c'era un campanile, ideato dall'architetto ragusano di scuola romana Antonino Di Marco, completato nel 1550, mirabile esempio di architettura con i suoi 100 metri di altezza.
Nel corso della lunga realizzazione i nobili locali avevano fatto a gara per arricchire la chiesa di arredi; sono un esempio le quattro statue dedicate alle Sante Barbara, Rosalia, Agata e Lucia donate dai Fratelli Castilletti. Oltre alle numerose statue (alcune salvate dal terremoto che ancora oggi si possono ammirare dentro il Duomo di Ibla, probabili opere di Giandomenico Gagini figlio del pi ù celebre Antonello autore della tribuna d'altare che oggi è nella sagrestia di San Giorgio) la cappella maggiore, distaccata dalla navata da un cancello in ferro, era adorna degli stucchi del Paparella, un artista romano che in quest'area operò.
Sub ì qualche danno dal terremoto del 1542 (e forse proprio per questo motivo si sa di lavori eseguiti in quel periodo); si sa del completamento del campanile nel 1550, delle decorazioni del catino compiute dal pittore fiorentino Filippo Palladini giunto qui al seguito dei Colonna tra il 1600 e il 1614, mentre nel 1633 si restaurava la volta tanto che il conte Giovanni Alfonso, nella visita del 1643, la poteva ammirare al massimo dello splendore. In quello stesso anno, accogliendo una petizione popolare, papa Urbano VIII elevava San Giorgio a patrono cittadino e alla sua chiesa tutte le altre dovevano sottomettersi.
Nel 1692 un fulmine aveva abbattuto il campanile e con il terremoto del 1693 la chiesa crollò quasi interamente: tutto andò perso delle preziose opere d'arte e delle fastose decorazioni, resistette al sisma solo la navata laterale sinistra che, forse, poteva essere salvata ma che il fervore per l'edificazione del nuovo tempio fece dimenticare, determinandone la fine definitiva.
L'altare maggiore dedicato al Santo titolare era attorniato dal coro a cui erano appoggiate diciassette statue in pietra calcarea e dodici medaglioni raffiguranti i dodici Apostoli opera di Filippo Paladini da Firenze, mentre chiudeva il coro un quadro di grandi dimensioni con raffigurata la SS.Trinit à adorata da quindici Santi ausiliatori opera di Domenico Capizzi (a questi stessi Santi era dedicato anche un piccolo altare in legno laterale). La navata di destra era detta del Sacramento o dell'Assunzione di Maria Vergine, mentre quella di sinistra era dedicata al Crocifisso; contenevano l'una gli altari dedicati all'Immacolata, all'Angelo Custode, a Santa Maria degli Angeli, alla Madonna del Carmine e a San Giuseppe l'altra quelli dell'Ascensione, di Santa Elisabetta e San Giovanni, Santo Stefano, l'altare delle Anime Purganti e poi quello di San Crispino e Crispiniano, tutti con quadri dedicati (in una cappella laterale affreschi del Novelli che gli contribuirono al titolo datogli dal Vicer è Giovanni Alfonso Enriquez Cabrera di "architetto del regno sia civile che militare").Per la bellezza della chiesa scelsero di farvisi seppellire il Visconte Bernardo Cabrera Conte di Modica (con testamento del 1419) e suo figlio Conte Giovanni Bernardo (morto prematuramente e sepolto di fronte al Battistero) e la moglie Contessa Violante Prades.
Durante il terremoto si salvò solo la lapide del Visconte che con imponente manifestazione nel 1737 fu traslata con le ossa di tutti e tre i familiari nel transetto del Duomo. V'era, infine, un gran battistero in pietra pece con iscrizioni in latino e greco.
Si decise di ricostruire un nuovo tempio, nel frattempo per le funzioni veniva approntata una tettoia, abbastanza vasta da contenere tremila fedeli, addossandola alla parte residua. Nel 1744 fu deciso di "adeguare al suolo" quanto non era crollato visto che si era realizzata la base dell'attuale Duomo; i muri furono abbattuti, gli altari e le statue smontate la stessa pietra riutilizzata. Una delle tre navate resistette sino ai primi dell'Ottocento quando si vendette il sito con la clausola di lasciarne a ricordo il Portale che, oggi monumento nazionale, rimane intatto nella sua bellezza.Quello che rimane è, quindi, solo una minima parte della chiesa danneggiata; un portale gotico catalano compreso fra due abitazioni private ottocentesche che prospetta su un piccolo e sguarnito giardino separato dalla via pubblica da una cancellata.
Di stile gotico-catalano ad arco acuto, con ricchi intagli, ha al centro una figura di San Giorgio a cavallo che uccide il drago e libera la Principessa di Berito. Sette colonnine a fascio su base rialzata con capitelli multipli fogliati su cui si impostano ghiere di anelli sfalsati ad arco leggermente acuto: si tratta di un altorilievo su blocchi di calcare tenero. Sugli archi decorazioni a traforo con immagini di foglie e animali, mentre alla base della ghiera sono rappresentati i mestieri Iblei di antica tradizione tra cui riconosciamo il mielar. All'interno della lunetta un tradizionale San Giorgio a cavallo che uccide il drago liberando la principessa di Berito; ai lati dell'arco ogivale, all'interno di due losanghe le aquile aragonesi segno di riconoscimento del tempo in cui fu eretto e della famiglia devota. Al centro dell'arco acuto una croce lavorata anch'essa a traforo con decorazioni floreali.
La porticina realizzata al posto del vecchio portone con una lastra di ferro è chiusa ed il muro di fondo intonacato. Una lapide in marmo inserita sotto la lunetta ha la seguente iscrizione: "Qui dove sorgeva il maggior tempio che il terremoto del 1693 rovinava in parte e l'eroica fede dei padri restaurava l'insigne Collegiata di San Giorgio ebbe sua prima sede XXVI Agosto MDCCXXVI I cittadini questo cancello che scopre agli occhi dei passanti il prezioso avanzo del superbo lavoro quattrocentesco in memoria posero XXII Aprile MCMXXVI".