Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Chiesa Madre
Dietro la Piazza XXIV Maggio, costeggiando alcuni edifici, si giunge alla Via Duomo, una gradinata sale al sagrato della Chiesa San Pancrazio o Chiesa Madre.
Il vecchio duomo sorgeva nei pressi della Rocca Baronale e risaliva all'epoca della conquista normanna, ma fu poi abbandonato perché fatiscente già verso la fine del Seicento. I lavori di costruzione iniziarono nella prima metà del secolo XVIII, grazie alle offerte della popolazione e dei baroni Adamo (Gaetano e del fratello don Carlo) e possono essere considerati conclusi intorno al 1765. La chiesa viene consacrata il 25 maggio 1874. Nel 1908 fu innalzato l'attuale prospetto, progettato nel 1901 da Ernesto Basile, caratterizzando con la sua bianca ed imponente mole il panorama della città.
La chiesa di stile rinascimentale è dedicata a San Pancrazio di Antiochia, Patrono di Canicattì, il cui culto risale, originariamente il 9 luglio secondo il calendario ortodosso, mentre, oggi viene festeggiato il 3 aprile come da liturgia romana. La Chiesa l'8 dicembre 1965 venne, con decreto del vescovo di Agrigento mons. Giuseppe Petralia, elevata a Santuario del Sacro Cuore di Gesù.
L'unica ampia navata a croce latina, si dilata per mezzo delle grandi cappelle laterali ed il transetto, su cui si affacciano le abside quadrate (tre), custodiscono pregevoli
opere d'arte risalenti anche al periodo bizantino.
Nella parete dell'altare maggiore vi è un grande mosaico la cui realizzazione risale al 1973 e raffigura un'imponente immagine del Sacro Cuore di Gesù in mezzo alla Madonna
ed agli apostoli.
All'interno di una nicchia, posta nel primo pilone a destra, è custodito un Ecce Homo di buona fattura e di autore ignoto (originariamente custodito nella Chiesa della Badia), in alabastro rosa, detta
"pietra incarnita", le cui venature richiamano lividi ed ematomi.
Nella seconda cappella a destra, entro un'edicola neogotica, è sistemata la statua lignea della B. M. V. delle Vittorie del 1882. Nella stessa cappella si trova una
significativa tela settecentesca raffigurante S. Giuseppe, qui attribuito a Francesco Narbone.
Nel transetto destro è collocato il sepolcro marmoreo di mons. Angelo Ficarra, vescovo di Patti ed insigne figura di pastore e di letterato.
Di fronte si apre la cappella del SS. Sacramento con un'articolata custodia lignea, intagliata e dorata in stile barocco, assemblata nella metà del secolo scorso con elementi secenteschi e di diversa provenienza.
Il coro ligneo del settecento in stile Luigi XVI è stato realizzato nel presbiterio dal palermitano Lorenzo Patti nel 1796.
Alle pareti del cappellone centrale sono appesi alcuni dipinti tra cui spiccano una B. M. V. del Lume, con ricca cornice, dipinta nel 1734 da un artista vicino
all'agrigentino Francesco Narbone e l'Apparizione della Vergine a S. Gaetano, dipinta nel 1770 da saccense Giuseppe Tresca.
Dalla chiesa B. M. V. del Carmelo provengono due dipinti: la B. M. V. dell'Itria, firmata da Gaetano Guadagnino nel 1809, e la Sacra Famiglia, capolavoro
del racalmutese Pietro D'Asaro del 1633.
In quest'ultimo sono rappresentati anche sant'Anna, san Gioacchino e un donatore con un cesto di frutta, che costituisce una delle prime nature morte in Sicilia.
Nella cappella del Crocifisso, terza a sinistra, è conservato un dipinto ad olio raffigurante la Vergine Addolorata, firmata da Francesco Sozzi nel 1783.
Nella nicchia della prima cappella a sinistra è conservata la statua marmorea della Madonna delle Grazie (risalente al periodo bizantino),
la tradizione vuole che sia stata rinvenuta tra i ruderi di Vito Soldano. Si tratta di una copia tardo cinquecentesca della Madonna di Trapani (un'altra copia quattrocentesca è stata trafugata dalla sagrestia poco
più di un decennio or sono) fortemente manomessa.
Il vestibolo dell'ingresso laterale sinistro è stato adattato a battistero, qui trova posto un fonte battesimale lapideo del seicento con lo stemma dei Bonanno,
signori di Canicattì.
Da annotare anche un reliquiario del settecento