Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Castello Bonanno
E' uno dei meno conosciuti anche perché considerato di minore importanza rispetto ad altri sia per forme architettoniche che per vicende storìche.
Pure questo castello, oggi distrutto e forse prossimo a scomparire definitivamente per trasformazione edilizia, ha origini leggendarie che ci riportano all'epoca della dominazione araba.
Il castello, ubicato su uno sperone roccioso che per due lati digrada con ripido pendio verso un torrente
oggi coperto, ha svolto un ruolo decisivo sull'origine e lo sviluppo dell'abitato di Canicattì.
Un tempo completamente isolato essendo preesistente all'abitato attuale, oggi risulta inglobato nel tessuto urbano del centro storico ma, malgrado la posizione preminente che esso occupa, risulta completamente estraneo al contesto.
Il castello presentava pianta quasi rettangolare.
Di fronte al prospetto principale, alla distanza di circa cento metri e in asse col portone, vi è la Torre dell'Orologio di origine antica ma incerta,
rifatta nel 1933 più alta di qualche metro, dove sono state ricollocate le due campane del secolo XVII con iscrizioni in latino che già si trovavano in quella antica.
Probabilmente il castello venne costruito nel 1089 da Ruggero il Normanno, è anche probabile che nel luogo dove Ruggero I costruì il castello, vi fosse prima un
fortilizio arabo. E' noto che gli arabi, durante la loro dominazione eressero fortilizi a guardia delle valli e delle strade più importanti dell'isola. Ruggero I
non avrebbe fatto altro, quindi, che restaurare l'abbandonato "ribat" arabo di Canicattì per assegnarlo ad uno dei suoi amministratori, ad una delle famiglie più fidate
tra quelle che avevano proceduto con lui alla conquista dell'isola.
Secondo la tradizione, fu il Conte Ruggero a rendere famoso in tutta la Sicilia il castello di Canicattì per avervi trasportato le armi sottratte agli Arabi nella battaglia di Monte Saraceno (Ravanusa),
per consacrarle all'Immacolata in segno di gratitudine per il miracolo concessogli ed esposte nel castello per essere custodite in perpetuo.
Leggenda assurda ma gentile, che, a parte l'evidente sentimento religioso, vuole spiegare l'origine dell'armeria del castello che divenne ben presto famosa in tutta la Sicilia, per le armature militari di ogni sorta e dimensione, specie cavalleresche ma ancora di più per l'eccezionale spada e lo scudo del conte Ruggero. Le notizie storiche, invece, ci danno per certa la notizia che nel secolo XIV era proprietaria del castello e del territorio annesso la nobile famiglia Palmeri di Naro,
quando ancora l'uno e l'altro facevano parte del Demanio.
Nel 1310 vien menzionato come casale. Alla fine del XIV secolo Luca di Formoso di Girgenti è ricordato come signore del castello - Amico 1855-56, p. 233.
Nel 1408 - Canicattì nel censo di quell'anno risulta soggetta a Salvatore di Palmeri - ibidem.
Sempre nel 1408 si menziona un castrum - Gregorio 1791-92, p. 491 (Maurici 1993, p. 41).
Nel 1448 Antonio Palmeri vende, per atto rogato in Not. Salvatore De Plaza da Naro e per il prezzo, dichiarato di 250 onze d'oro la sua terra e castello di Canicatti
al nipote Andrea De Crescenzio, con la clausola che non si potesse rimuovere lo stemma dei Palmeri né dal castello né dalla Chiesa, cioè da quella che poi fu la primitiva
Parrocchia, vicina alla Torre dell'Orologio e di cui non resta più alcuna traccia. - Carità 1982, p. 37.
1453-1485 il casale viene ricostruito da Andrea di Crescentio - SMDS, II, p. 216.
Successivamente Andrea De Crescenzio, nuovo proprietario, fa domanda di fondare un nuovo paese attorno al al suo palazzo feudale. La sua domanda fu accolta e sancita in un documento che porta la data
del 3 febbraio 1467, firmato dal Viceré Lupo Ximenes Marchese di Urrea.
Sorge, in quella stessa data, la nuova Università di Canicatti.
1500 ca. - castrum cum casale et feudum chandicattini -Barberi, III, p. 604;
In mancanza di eredi maschi, successe ad Andrea De Crescenzio la figlia Ramondetta che nel 1507 porta in dote a Calogero Bonanno il territorio ed il castello di Canicattì - Carità 1982, p. 37.
Da allora, e sino al 1819, il castello restò sempre incorporato nell'eredità spettante per diritto al primogenito della famiglia Bonanno che fu insignita, con l'andare del
tempo, di altri e ben più importanti titoli.
I primi Baroni curarono particolarmente questo loro primo feudo e alcuni vi abitarono per molto tempo, come il Duca Giacomo I, protettore delle arti e autore di una
dotta monografia sulle antichità di Siracusa, morto nel 1637.
Epoca di splendore fu per il castello di Canicattì la prima metà del Seicento, in cui barone della città era il duca Giacomo Bonanno Colonna. Questo precursore dei tempi gettò le basi per il futuro sviluppo della città nella zona bassa pianeggiante, favorendone il progresso come importante centro viario e commerciale.
Sorto dal nulla il nuovo nucleo abitato con gente immigrata, il castello divenne quasi per diritto il fulcro della vita cittadina. In alcuni pianterreni ebbero sede
le carceri baronali (in seguito al diritto d'Imperio concesso ai Bonanno), in un locale speciale. Passavano gli ultimi tre giorni di vita i condannati a morte assistiti
dai confrati di M. SS. delle Grazie detti i Bianchi, ivi alloggiavano - se forestieri - il Governatore Baronale e il Castellano. Infine vi si riunivano, prima della
costruzione dell'antico «Archivio » (Municipio), la Corte Giurata e la Corte Capitaniale.
In tre grandi locali a pianterreno era custodita l'Armeria di cui abbiamo notizie sicure sin dalla metà del secolo XVI, e che si era venuta formando grazie allo sforzo
continuo dì varie generazioni e con l'apporto di alcune eredità. La raccolta venne dispersa nel 1827 quando il sindaco di Canicattì Leonardo Safonte La Lumia, per non pagare una piccola somma per la custodia dell'Armeria, regalava la collezione ai Borboni. Questi collocarono i reperti nel museo di Capodimonte, da dove, dopo la proclamazione del Regno d'Italia, furono trasferite all'Armeria Reale di Torino.
Secondo un inventario del 1784 (un altro del 1793, sostanzialmente identico, si trova presso la Comunale di Palermo), era formata da un numero impressionante di pezzi rari
e curiosi, compresa la spada tarsiata in oro che era appartenuta - secondo la tradizione - al Conte Ruggero.
Vi sì potevano ammirare circa 50 armature complete di Borgogna, uno scudo grande sbalzato con la storia degli Orazi e Curiazi, un altro tarsiato d'oro, l'armatura completa
di un Duca di Savoia, numerose armi da torneo, elmi di diverse epoche, picche, alabarde, pugnali di Toledo, corazze e cosciali, due lanterne « alla turchesca», una spada
detta «del Saraceno».
Non mancavano numerosi finimenti per cavalcature, giacconi di pelle di daino, scudi di legno di fico e perfino una grande macchina da orologio.
Le armi da fuoco, completate da numerose fiasche per polvere, erano rappresentate da un cannoncino di bronzo, da più di 200 archibugi, da un gran numero di pistole e
carabine e da schioppi « alla calabrese ».
Nel 1819, essendo da pochi anni scaduto il vincolo feudale, tutto l'ex feudo - compréso il castello - fu ceduto in enfiteusi al B.ne Gabriele Chiararnonte Bordonaro.
L'atto fu stipulato in Palermo presso il Not. Salvatore Caldara il 19 giugno di quell'anno. La consegna venne fatta in Canicattì il 9 gennaio 1820, per atto in Not.
Giuseppe Caramazza. Dobbiamo a quest'ultimo documento la conoscenza sommaria della disposizione interna dei locali del castello, che non si rilevano da nessun altro
documento facilmente accessibile. A pianta quasi rettangolare, il suo prospetto principale della lunghezza di circa m. 60, guarda verso Sud. Dal grande portone, che
ne era l'unico ingresso, si accedeva nel cortile centrale dove era una cisterna e dove si affacciavano i locali di servizio e la grande sala di guardia. Lo scalone
d'onore portava al piano nobile, composto prevalentemente da due grandi appartamenti: quello della Principessa e quello del Principe che comprendeva la camera d'angolo
detta « della Cappella », destinata alle funzioni religiose.
I due appartamenti erano riuniti da un salone centrale che corrispondeva sopra il portone ed era decorato con affreschi e ritratti di personaggi della Famiglia Bonanno.
Altri appartamenti, meno importanti e non sufficientemente descritti, tra cui una camera detta «La Credenza» ed altre per l'Amministrazione, aprivano le finestre verso Nord,
cioè verso la parte del castello più fredda e meno gradevole.
Nello stesso anno 1820, essendo stato Canicatti elevato a sede di Giudicato di Circondario, si pensò di adibire una parte del castello a Tribunale. Ma dopo il sopraluogo
eseguito da un ingegnere inviato dal Governo, l'idea fu scartata perché i locali visitati non erano in buone condizioni e troppo sarebbero costate le opere di restauro.
Nel febbraio del 1837, approssimandosi il pericolo del colera, il Consiglio Civico decise di requisire alcuni ambienti del castello perché all'occorrenza, servissero da
ospedale d'isolamento.
Furono scelte alcune delle camere migliori, attrezzate alla meno peggio dopo acconci affrettati. Purtroppo, al principio dell'estate si sviluppò la tremenda epidemia e
il Castello funzionò da Lazzaretto sino all'estinzione del colera, nell'ottobre del 1837. Nel 1857, alcuni ambienti del castello vengono destinati ad ospedale di isolamento.
In seguito, anche le carceri, per ragioni di sicurezza, vi furono tolte nel 1866. Da quel momento si spegne nel grande edificio l'ultimo soffio di vita, e si accelera
quel processo di rapida decadenza che ne prelude il disfacimento.
Pur tuttavia, un dipinto su lastra di rame eseguito sul posto nel 1868 ci mostra il castello apparentemente intatto in quello che fu il suo ultimo aspetto quando, in
seguito a rifacimenti antichi di cui s'è perduta notizia, non mostrava più la sua forma originaria di roccaforte medioevale.
Venticinque anni dopo, nel 1893, il turista francese Castone Vuillier che visitò gran parte della Sicilia e pubblicò le memorie del suo viaggio, sostando per breve tempo
alla stazione ferroviaria di Canicattì, osservava con senso di malinconia la desolazione del castello abbandonato e già in parte distrutto.
Quel che resta dell'antica costruzione, oggi, non ci consente di tentare nemmeno una ideale ricostruzione e non esìstono neanche più le tracce della vasta cavallerizza, adiacente al corpo principale ma da esso separata da pochi metri, perché trasformata da poco in casa di
abitazione dopo essere stata adibita per tanti anni prima a deposito municipale e poi a molino.
Gli antichi magazzini baronali per la raccolta delle granaglie, dipendenze necessarie per un castello di tipo feudale e terriero, esistono tuttora e si aprono sulla Piazza Vespri (l'antico « Piano ») e, sebbene in cattive condizioni, oggi sono trasformati in deposito di legname.
L'impianto visibile è limitato a resti di strutture verticali, realizzate con conci di pietra calcarea nel paramento murario della parete nord, dove è possibile
leggere la presenza di aperture, e conci squadrati di calcarenite posti agli angoli.
L'ingresso al castello era costituito da un imponente portone centrale, che oltre una corte coperta, introduceva in un ampio cortile nel quale si aprivano i magazzini, le stalle, i fienili, gli alloggi degli armigeri, e una piccola cappella. Le celle carcerarie erano al pianterreno del castello, attorno a un vasto cortile, al centro del quale si ergeva una cisterna per la raccolta delle acque piovane. Di fronte, in tre ampie sale, c'era esposta la famosa Armeria. Al piano superiore, a cui si accedeva da una larga e fastosa scala d'onore, c'erano gli appartamenti nobili del barone e della baronessa, con una grande camera d'angolo, strutturata come cappella per le cerimonie religiose.
Il castello nel suo complesso oggi si presenta allo stato di rudere ed in totale abbandono.
La proprietà è privata.
Fonti storiche principali:
V. Amico - Lexicon-topograficum siculum (1757).
Prof. G. DRAGO - Gli usi civici del Comune di Canicattì (1926) - Inedito. Nicotra -
Dizionario illustrato dei Comuni Siciliani (1908)
«Breve descrizione geografica del Regno di Sicilia» (Palermo, 1787).
G. Gangitano - La terra di Canicattì (Agrigento, 1939).
Giacinto Gangitano
Estratto da:
"Bollettino dell'Istituto Storico e di Cultura dell'Arma del Genio"
Fascicolo n.2 (74) - Aprile-Giugno 1961