Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Teatro greco-romano - Catania
Il teatro romano di Catania è situato nel centro storico della città etnea, tra piazza S. Francesco, via Vittorio Emanuele, via Timeo e via Teatro greco.
Esso è oggi parte del Parco Archeologico Greco-Romano di Catania. Il suo aspetto attuale risale al II secolo ed è stato messo in luce a partire dalla fine del XIX secolo.
A est confina con un teatro minore, detto Odeon.
Il teatro nella sua forma attuale risale all'epoca romana (probabilmente costruito in età imperiale); non è però da escludere che si sia impiantato
su uno greco, come testimonierebbero la posizione sul pendio naturale di una collina e alcune fonti letterarie (discorso di Alcibiade ai catanesi durante
la guerra del Peloponneso)
La parte alta della stessa è sostenuta da 18 muri innalzati a raggera.
Il diametro è di circa 80 metri, si sono conservati la cavea, l'orchestra e alcune parti della scena. Costruito in pietra lavica dell'Etna, era decorato con marmi e
statue ed è probabile che la sommità della scalea fosse sormontata da un colonnato simile a quello del teatro di Taormina. La sua capienza era di circa 5.000 spettatori.
Vicino al teatro si trovano i resti dell'Odeon, anch' esso di epoca romana.
Il Teatro greco
Di un teatro a Catania si fa riferimento nelle fonti classiche in merito alla consultazione delle polis siceliote da parte di Alcibiade, che tenne nel 415 a.C. un discorso
all'assemblea civica riunita appunto nel teatro. Di questo teatro però non era chiara l'ubicazione e la tradizione tendeva a identificarlo con il teatro di età romana
oggi visibile. Tale associazione diede adito a numerose fantasticherie sull'edificio, al punto che è ancora oggi chiamato Tiatru grecu dalla comunità locale, mentre la
strada che lo costeggia a nord è chiamata via Teatro Greco. Ciò che ha dunque mosso gli studiosi dell'edificio sin dai primi lavori di sgombero delle strutture antiche
è stato anche il quesito se il teatro delle fonti fosse il medesimo che si ammira oggi, ossia se su una preesistente struttura greca possa essere nata la struttura romana.
Per un certo periodo venne persino messo in dubbio che potesse esistere davvero un teatro in epoca greca a Catania e che si trattasse di una errata traduzione delle
fonti ad aver generato la credenza di detto edificio. Diverse quindi le ipotesi a favore dell'identificazione del teatro romano con quello greco: la posizione alla base
di una collina a differenza dell'usanza romana di edificare in pianura o la scena rivolta verso il mare. Sul monumento però le fonti sono piuttosto silenti e ne
tacciono le vicissitudini storiche: per capirne quindi la storia si fa ricorso ai ritrovamenti archeologici che gettano un po' di luce sull'edificio.
Le fasi più antiche testimoniano la presenza di un edificio teatrale costruito con grossi blocchi di pietra arenaria con lettere in greco in pianta rettangolare,
un tipo di planimetria più diffusamente ellenistica. Tale struttura, già identificata negli anni 1884 e 1919 e attribuita a un teatro greco di V-IV secolo a.C.,
potrebbe essere propriamente il teatro in cui Alcibiade tenne il discorso ai Katanaioi per convincerli ad allearsi con Atene contro Syracusae.
Il Teatro romano
Il teatro di epoca greca venne dunque restaurato nel corso del I secolo, probabilmente a seguito dell'elezione a colonia romana di Catania, avvenuta ad opera di Augusto.
A questo periodo appartengono un rifacimento della cortina quadrangolare con la sostituzione dei blocchi in arenaria mancanti con conci lavici squadrati,
l'aggiunta della scena e le gradinate più antiche dell'edificio.
Nel corso del II secolo, forse a seguito di finanziamenti ottenuti da Adriano, assistiamo a un progressivo processo di monumentalizzazione dell'area che coinvolge anche
le vicine strutture termali e numerosi edifici cittadini (tra cui anche l'anfiteatro). A questo periodo risale il plinto conservato nel museo civico al Castello Ursino,
in cui è rappresentata una vittoria che incorona un trofeo su un lato e dei barbari resi schiavi a lato; tale plinto potrebbe rappresentare una vittoria sui Germani di
Marco Aurelio o di Commodo. Le tracce della monumentalizzazione si notano anche nell'assunzione di una pianta emiciclica dell'edificio, la realizzazione di un
proscenio decorato da lussuosi marmi, l'ampliamento della scena e la realizzazione di due massicce torri laterali, atte a ospitare le scale d'accesso ai diversi piani
dell'edificio. La struttura si dota in questo periodo di numerosissimi elementi architettonici, tra fregi, statue, bassorilievi e colonne, in passato spesso trafugati
o raccolti ed usati come materiale da costruzione per gli edifici della città barocca, come ad esempio per la facciata della Cattedrale di Sant'Agata.
Caduto in declino e abbandonato nel corso del VI e del VII secolo come per molti altri edifici monumentali di età classica, venne presto sfruttato per ricavarne modeste
abitazioni già dall'Alto Medioevo. L'area dell'orchestra fu interessata da una macelleria bovina, mentre lentamente e inesorabilmente le strutture venivano intaccate e
scavate per ricavarne nuovi edifici.
Nonostante le dure manipolazioni nel corso dei secoli, tra cui l'aggiunta nel XVI secolo di piccole stradelle che tagliavano il monumento da parte a parte, l'emiciclo
dell'ultimo ambulacro era perfettamente leggibile dall'esterno e tale veniva riprodotto dai cartografi cinque e secenteschi. Il terremoto del Val di Noto del 1693
rovinò molte abitazioni che erano nate sulla cavea, le cui macerie vennero sfruttate per realizzare le fondamenta di nuove abitazioni. Nel XVIII secolo viene eretta
la via Grotte, i cui archeggiati sono ancora visibili a testimonianza della sua esistenza, che tagliava in senso sud-nord l'edificio, mettendo in comunicazione la strada
del corso (oggi via Vittorio Emanuele II) con lo spiazzo alle spalle del teatro. La strada, come si nota da alcune fotografie precedenti al suo abbattimento, era in
comunicazione con alcune stradelle minori e persino una piazza, ricavate sulla cavea tra il XVIII e il XIX secolo.
Sul finire del XIX secolo il proprietario del palazzo che si addossa all'adiacente odeon, il barone Sigona di Villermosa, fece abbattere l'ultimo fornice per ampliare
il suo immobile. Questo increscioso avvenimento mobilitò la Soprintendenza alle Antichità per la Sicilia Orientale, all'epoca diretta da Paolo Orsi, che adottò il pugno
duro nei confronti di chi abitava sopra i due teatri e avviò una campagna di esproprio e liberazione delle antiche strutture mai del tutto completata. Da un primo
sgombero della fine dell'Ottocento che interessò quasi esclusivamente l'odeon, si riprese solo negli anni cinquanta del XX secolo in misura massiccia l'opera di sgombero,
interrotta dopo una ventina d'anni. Una campagna di scavo venne condotta nei primissimi anni ottanta che restituì nel 1981 l'ingresso orientale degli attori,
costituito da una scaletta e un accesso trabeato, realizzato in grossi blocchi di pietra lavica.
Dalla seconda metà degli anni novanta venne riaperto il cantiere di scavo, con un obbiettivo diverso da quello che aveva caratterizzato i lavori fin lì condotti.
Il servizio per i Beni Archeologici della Soprintendenza BB. CC. AA. di Catania, sotto la direzione della dottoressa Maria Grazia Branciforti, ha infatti intrapreso
una nuova serie di campagne di scavo, demolizione atto allo sgombero, rifunzionalizzazione e restauro di ciò che rimane ancora ingombrato del monumento con la finalità
di conservare alcuni edifici rappresentativi del proprio periodo, sorti sul teatro e ritenuti utili testimoni della storia del monumento e della città successivi
all'abbandono della funzione teatrale della struttura. Sotto quest'ottica infatti sono nati gli ambienti allestiti per ospitare l'Antiquarium regionale del Teatro Romano,
con sede in Casa Pandolfo (del Settecento) e nella Casa Libérti (realizzata nel secolo successivo su una struttura del Cinquecento di cui rimangono due eleganti portali),
situata nella zona nord-est della summa cavea. Dagli anni settanta fu utilizzato per spettacoli estivi, ma questo utilizzo fu abbandonato dal 1998, quando gli fu preferito
l'anfiteatro del Centro fieristico le Ciminiere. Attualmente è quasi interamente visitabile ad eccezione delle parti ancora in restauro e degli approfondimenti in corso
sulle vestigia greche che si stanno esplorando.
Studi
Indagato già nel 1773 da Ignazio Paternò Castello, Principe di Biscari, dopo un lungo periodo di abbandono e di disinteresse, in cui nuove fabbriche andavano a sovrapporsi al monumento, iniziarono poderose operazioni di espropriazione, impegnativi lavori di demolizione delle strutture moderne e di restauro di quelle antiche. La parte più consistente di tali lavori è stata eseguita tra il 1950 ed il 1970 ed ha portato al recupero della cavea e di gran parte degli ambulacri. Le espropriazioni sono riprese nel 1991 ed hanno determinato l’acquisizione di tutti gli edifici posti sul lato orientale del monumento nel cui interno sono state individuate, e parzialmente restaurate, nuove porzioni degli ambulacri, dell’edificio scenico e degli ambienti ad esso connessi. Un'ultima campagna di scavi si è conclusa nel 2008.
Il Teatro di epoca romana, ben visibile nel tessuto urbano della città medioevale, venne studiato per primo dal Bolano e dal Fazello, trattato dai vari autori secentisti
che si occuparono delle antichità di Catania, così come da Vito Maria Amico. La prima vera indagine archeologica compiuta in un'area adiacente al Teatro venne compiuta nel
XVIII secolo dal principe Ignazio Paternò Castello, che in anticipo sui tempi sperimentò nell'area est - forse perché costretto dalla situazione - la trincea di scavo e
ad occidente ricolmò lo scavo con il materiale di risulta dello stesso, rendendolo riconoscibile per le future indagini, probabilmente perché - come egli stesso avrà modo
di scrivere in proposito - intenzionato a completare le indagini archeologiche qualora ne avesse avuta l'occasione. Lo scavo occidentale mise in luce un lastricato
romano che chiudeva nella scala d'accesso orientale dell'edificio, un monumentale arco che venne prontamente rilevato da Sebastiano Ittar, che ne realizzò un rilievo
su lamina di rame oggi esposta al Museo civico. Alla fine del XIX secolo Adolf Holm ne visita la struttura e ne ipotizza per primo la capienza di 7000 persone,
un dato poi non più verificato, ottenuto da un calcolo relativo alle dimensioni dell'edificio che poté desumere all'epoca, mettendole a confronto con gli edifici teatrali
a lui noti. Nello stesso periodo inizia la lunga opera di sbancamento delle abitazioni che alterarono la natura dell'edificio, coronata nel 1884 dal ritrovamento di un
muro in pietra arenaria identificato con parte dell'antico teatro greco delle fonti e successivamente nella campagna del 1919-1920 col rinvenimento di blocchi cui era
incisa la sigla KAT, interpretata come l'abbreviazione di Katane, antico nome della città.
Durante gli anni cinquanta vennero compiuti i più impegnativi lavori di sbancamento sotto la direzione di Guido Libertini che riportarono alla luce gran parte della cavea,
partendo dal settore orientale, e restituirono una grande quantità di marmi decorativi, accatastati man mano che si procedeva lungo il corridoio nord. Gli scavi, interrotti
durante il ventennio successivo, ebbero seguito a partire dal 1980 nel settore orientale e in diversi punti della cavea, oltre che focalizzati sull'orchestra per liberarla
dai detriti e dal materiale di crollo del sisma del 1693. In quest'ultima zona si rinvenne un frammento della testa di Marco Aurelio, completata grazie ad un secondo
frammento rinvenuto durante la campagna dei primi anni 2000. In quest'ultima campagna, iniziata nel 1998, si sono liberate ampie porzioni del settore occidentale e
nel contempo è stato predisposto un percorso visite, preservando diversi ambienti sorti sull'edificio per ricavarne uffici amministrativi o sale espositive. Gli scavi
, condotti dall'allora sopraintendente ai BB.CC.AA. la dottoressa Branciforti, ha anche permesso di conoscere meglio l'edificio nel suo rapporto con la città e con la
storia, nel suo evolversi nel tempo e nello spazio, mettendo in luce anche le parti più antiche dell'edificio, quali ad esempio un ambiente chiuso creato con gli
stessi blocchi in arenaria siglati kat che hanno permesso di datare meglio le strutture sfruttate dal teatro romano al IV secolo a.C., piuttosto che al V come si
credette nel 1919. Inoltre si è potuta ricostruire l'estensione del primo impianto e identificare l'area sacra del tempio cui il teatro era legato.
Descrizione
La cavea del Teatro è costituita da nove cunei delimitati da otto scalette. Divisa orizzontalmente da praecinctiones, è definita, nella parte superiore da un ambulacro che si apre verso l’esterno con grandi porte alternate a finestre, al quale, in antico, si addossava probabilmente un loggiato (porticus in summa gradatione). Mentre la parte inferiore (ima cavea), caratterizzata dalla presenza di gradoni in calcare, è direttamente poggiata sul pendio naturale, la media e la summa cavea sono sostenute da poderosi muri radiali attraversati da due ambulacri collegati tra loro da scale. Dagli ambulacri si accede ai diversi settori delle gradinate. La cavea è strutturalmente connessa all’edificio scenico e comunica con esso mediante un complesso sistema di corridoi, rinvenuti nel corso degli ultimi lavori e a seguito delle recenti espropriazioni. Essi consentivano il passaggio, oltre che agli ambienti retrostanti il palcoscenico (postscaenium), anche alle torri scalari. L’edificio scenico in antico dovette essere imponente. La sua fronte era lussuosamente ornata da statue collocate dentro esedre fiancheggiate da colonne di ordine corinzio poste su piedistalli con delfini in rilievo. Alla sua base, tra alte zoccolature decorate da bassorilievi, si aprivano tre porte attraverso cui gli attori giungevano sul palcoscenico.
Dopo le ultime campagne di scavo, eseguite dalla Sezione Archeologica della Soprintendenza di Catania, è ben visibile la porta orientale con due grandi colonne ai lati, delle quali oggi si vedono in situ le basi in pietra lavica e, solo per quella posta sul lato sinistro dell'ingresso, il piedistallo marmoreo decorato con bucrani e teste taurine del tutto simile a quello recuperato dal Principe di Biscari. La porta hospitalis e gli ambienti retrostanti, intorno al XVI secolo, furono occultati per la costruzione di una casa che si sovrappose anche alla porta regia, della quale è visibile finora solo il fianco orientale in opus latericium, privo dei rivestimenti marmorei. Davanti alla fronte della scena si estendeva un largo palcoscenico la cui fronte, movimentata da piccole nicchie rivestite in marmo e decorate da statue, come quella raffigurante Leda col cigno, copia romana di un originale greco di Timoteo (IV secolo a.C.), era coronata da una cornice in marmo con motivi vegetali stilizzati.
L'orchestra conserva il pavimento marmoreo in opus sectile il cui disegno è dato da grandi cerchi inscritti dentro quadrati. Esso fu restaurato già in antico allorché, essendosi rovinato anche per la fragilità dei marmi che lo componevano, fu integrato, con lastre di marmo bianco, senza rispettare il disegno originario. Invasa da numerosi piccoli recinti per animali nella prima metà del V sec. d.C., l'orchestra, tra il 600 e il 650 d.C., fu ricolmata da un poderoso crollo delle parti alte della scena e della cavea come indica la presenza di grandi blocchi in calcare, relativi alle gradinate, di capitelli, di parti di colonne e di sculture relative alle decorazione del palcoscenico e della fronte della scena.
Nel medioevo, distruggendo parte dell'orchestra già coperta da macerie, fu costruita una struttura quadrangolare a grandi blocchi squadrati di calcare, del tutto simili a quelli di un poderoso muro scoperto nel 1919 al di sotto dell'edificio moderno che grava sul lato occidentale del monumento. Tale muro è stato inteso come elemento strutturale di un più antico Teatro greco a struttura trapezoidale. Il prospetto esterno del Teatro, in luce solo per un breve tratto su via Teatro greco, è movimentato da scale e da grandi esedre che erano, probabilmente, decorate da statue.
Dall'analisi delle strutture, della decorazione architettonica e dei dati di scavo si ricavano le diverse fasi del monumento. Costruito nell'area già occupata probabilmente da un teatro ellenistico, ebbe in età augustea la sua prima sistemazione come teatro romano: sulle parodoi furono costruite le ali estreme della cavea che venne così saldata all'edificio scenico davanti al quale si sviluppava un palcoscenico meno ampio di quello ora a vista. Il teatro raggiunse il suo assetto definitivo nel II secolo d.C., epoca a cui risalgono anche la decorazione della fronte scena e molti dei frammenti di sculture e bassorilievi rinvenuti. Tra la fine del III e la prima metà del IV secolo d.C. fu restaurato e fu realizzato un palcoscenico più ampio utilizzando come materiale da costruzione anche frammenti di statue e di colonne. In questa fase sugli ultimi gradoni dei cunei orientali fu sovrapposto un alto podio collegato all'orchestra mediante scale. Fu modificato pure il passaggio dalla parodos orientale agli ambienti retrostanti la fronte scena, con la realizzazione di un ampio corridoio, dotato ad est di aperture ad arco, ora visibili nell'area di ingresso al monumento.
La struttura teatrale visibile appartiene alle grandi costruzioni del genere di epoca antonina, composta da una complessa scena, originariamente decorata da colonne
marmoree in seguito resa monumentale con l'aggiunta di nicchie e finti ambienti prospettici che dovevano creare l'illusione di una più vasta profondità, un pulpitum
riccamente strutturato e decorato da marmi, l'orchestra dal diametro di circa 22 metri originariamente rivestita in opus sectile con una fantasia di cerchi inscritti
in quadrati, danneggiata più volte e restaurata un'ultima volta malamente nel IV secolo, e sovente allagata da una polla di acqua sorgente scambiata in passato con
l'amenano, i due parodoi fortemente rovinati dai lavori effettuati per ricavarne ambienti e persino scarichi per le acque nere, una delle carceris resa nel XVIII
secolo una palazzina privata, l'ampia cavea dal diametro di 98 metri costituita da ventuno serie di sedili, divisi orizzontalmente da due praecinctiones e verticalmente
da nove cunei e otto scalette. Le due precinzioni separano le tre parti della cavea: ima (poggiata direttamente sul declivio del colle Montevergine), media e summa
(queste ultime messe in comunicazione dagli ambulacri che si aprono verso l'esterno tramite diversi vomitoria ai vari cunei e tra loro con un fitto sistema di scale).
Gli ambienti scenici erano riccamente decorati da marmi, tra colonnati, statue e bassorilievi con un repertorio iconografico legato al mondo mitologico quanto alla
celebrazione di eventi o personalità pubbliche. Tra le figure a carattere mitologico spicca il gruppo scultoreo della Leda col cigno copia romana di un originale
del 360 a.C. di Timotheos, mentre tra gli ornamenti funzionali del teatro una lastra di marmo bianco rappresentante un delfino, ritenuto quale bracciolo per un seggio
d'onore o più probabilmente (vista la certa presenza di almeno altri due delfini identici immortalati dalle foto degli anni trenta) divisori per segnalare la zona
riservata al pubblico più importante. In marmo bianco erano pure i rivestimenti dei sedili, costruiti in blocchi di arenaria per la ima cavea e in opus coementitium
per le altre due cavee, i quali dovevano creare un singolare aspetto cromatico con il nero delle otto scalinate in pietra lavica. Molti elementi decorativi vennero
trafugati o adoperati per la realizzazione della cattedrale del 1094, dove ancora si possono notare alcuni capitelli, colonne o elementi decorativi in marmo.
Secondo la ricostruzione di Sebastiano Ittar le colonne - numerose - dovettero costituire un loggiato sulla sommità della scalea, analogamente al teatro antico di
Taormina, esemplare più grande e reso famoso dai viaggiatori del Grand Tour. All'esterno si aprivano diversi accessi, molti dei quali sono oggi liberi sebbene non
praticabili a causa della mancanza delle scale, chiusi da lesene che creavano un notevole gioco di ombre e luci, tendenza chiaroscurale già presente in Sicilia dai
tempi del Teatro di Thermae Himerae; quattro grandi avancorpi emergevano dalla facciata curvilinea dell'edificio e vi erano ricavate altrettante nicchie,
probabilmente ospitanti statue di divinità.
La scena è ancora ingombrata da palazzi del XVIII secolo, tra cui una palazzina a un piano che funge da ingresso e che conserva notevoli resti di epoca medioevale,
tra cui una scalinata e una colonna, ricollocata a reggere il soffitto ligneo settecentesco. Questa palazzina è anche sede dell'antiquarium, in cui sono esposti
i rilievi architettonici dell'edificio, dal I al XVII secolo, e vi si possono osservare i resti di un abitato del XVI secolo dall'orientamento diverso rispetto
al Teatro, segno che il tessuto strutturale del medesimo era ormai illeggibile. Sull'orchestra si possono ancora vedere gli archi della vecchia via Grotte, una
interessante struttura che testimonia l'edilizia del XVIII secolo. Sulle carceris e su una piccola parte della cavea sono ancora presenti diverse abitazioni,
una di esse è il Palazzo Gravina Cruyllas che confina ad est. La media cavea presenta le maggiori manipolazioni subite nei secoli, con ampie parti di sedili
asportate per ricavare dei pavimenti piani. Tra le residenze sorte nella zona della summa cavea di notevole importanza è la Casa del Terremoto, una vera e propria
capsula del tempo, che ha preservato integro il corredo abbandonato l'11 gennaio 1693: le macerie che la ostruirono vennero quindi sfruttate per ricavare le
fondamenta di una casa settecentesca, resa oggetto di discordia tra il comune che intendeva espropriarla e due anziane signore che vi risiedevano.
Altre due case che insistono nella zona orientale sono la Casa dell'Androne e la Casa Libérti, entrambe sfruttate come spazi espositivi o per conferenze.
Ai lati due diversi ingressi confinano uno a est con la trincea di scavo effettuato da Ignazio Paternò Castello situata tra le proprietà dei Principi di Valsavoja e
i Gravina, l'altro a ovest con l'odeon. A nord-est, all'interno di uno dei locali della Casa dell'Androne si sono rinvenuti i resti di un themenos, il recinto
sacro del tempio cui il Teatro era legato. La presenza della stipe votiva della vicina piazza San Francesco d'Assisi ha fatto pensare che possano essere messi
in relazione col culto di Persefone o Demetra.
Indirizzo : Via Vittorio Emanuele 266 Provincia : Catania Comune : Catania Tel. : 095- 7150508 - fax 095 - 311004
Orari ingresso : Da lunedì a sabato dalle ore 9.00 alle ore 17.00. Domenica dalle ore 9.00 alle ore 13.30. La prima domenica del mese apertura 9.00 - 17.00. Biglietto singolo intero : 6,00 € Biglietto singolo ridotto: 3,00 € Note: La biglietteria chiude mezzora prima della chiusura del sito. La prima domenica del mese l'ingresso è gratuito. CHIUSURA 25 DICEMBRE E 1 GENNAIO