Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Santuario Madonna delle Milizie
Nel luogo della battaglia contro gli arabi di Badr Al Gamali, intorno al 1091, venne costruito un santuario, dedicato alla Vergine Guerriera, e contenente tra l'altro l'impronta impressa sulla pietra del Suo cavallo.
Oggi la chiesa della Madonna delle Milizie, sorge poco più a monte dell'abitato, in località Milici, ed è preceduta da un grande arco che immette in un cortile dove si apre il portale di ingresso.
E' tuttavia opportuno precisare che il nome della Madonna dei Mulici o delle Milizie, va messo in relazione non al termine «Milizie», ma ad un tempio dedicato a Bacco «Milicio» edificato dai Nassi, profughi siracusani che si erano rifugiati nella zona. I ruderi del tempio erano ancora visibili nel secolo XII.
Secondo il Di Lorenzo e le altre fonti posteriori, la prima fu fatta nel 1093, sotto Enrico IV Imperatore e Urbano II Papa, (come aggiunge la lapide, ancora conservata, del 1664-1665) «cum limosina de fidili Kristiani». è probabile che il Gran Conte abbia contribuito, come fece in altre parti della Sicilia, con le sue generose elemosine, anche la citata memoria pare escluda la sua partecipazione alla battaglia, vinta dalla fede e dal coraggio del popolo sciclitano.
Secondo gli antichi ebrei (registri di conti) e altre testimonianze, Chiesa ed Eremitorio sarebbero stati restaurati nel 1391, otto anni prima della visita fatta all'eremita custode del santuario fra Pietro Di Dio, dal Beato Guglielmo e dal Di Lorenzo.
Attorno al santuario e ad una torre costiera si sviluppò nei secoli il borgo.
La primitiva chiesetta della Madonna delle Milizie in località «Casale», fu edificata nel 632 e poi distrutta dai Saraceni.
L'attuale campanile del Santuario è in realtà una delle torri bizantine più antiche e meglio conservate della Sicilia. La sua origine risale all'anno 800 come era possibile leggere sulla massiccia porta di ferro di cui era dotata.
La torre, che i Normanni continuarono ad usare come posto di guardia, venne poi adattata a campanile, intorno al 1470, perché questa è la data incisa nella campana che vi si trovava fino all' anno 1920, quando venne portata dalla Chiesa Madre. A questo stesso periodo si può far risalire la statua in calcare della Madonna col Bambino in braccio e una colomba sulla destra (ora nella Chiesa di Donnalucata).
La storicità di questi eventi è confermata dalla documentazione a noi pervenuta, criticamente vagliata. Secondo il Carioti, ai piedi c'era un bassorilievo raffigurante l'evento del 1091 e un'iscrizione. Ma la statua più antica, risalente alla fine dell'XI secolo, come dice il Di Lorenzo, aveva una spada in mano e portava una diversa iscrizione.
Risale poi alla dominazione aragonese un episodio degno di nota e riferitoci dal Solarino, allorquando Ruggero di Lauria, essendo diretto con le proprie galere alla conquista di Malta ancora in mano agli angioini, si fermò sulla spiaggia di Donnalucata a rinfrescarsi alla fonte già allora molto nota (il Solarino parla di acqua che è della più buona e sana del mondo) nonché a prepararsi all'attacco.
Sempre il Carioti ci descrive lo stato della Chiesa prima della ricostruzione del 1721. Aveva undici altari e numerose opere d'arte, delle quali la più pregevole era la grande tela di Lazzaro, opera di Narcisio Guidonio (1602). Interessante è la particolare descrizione del pavimento in ceramica, ingombro di figure e scene variopinte, che purtroppo è stato asportato negli anni '40 e sostituito in tempi recenti con mattoni di pietra locale.
Il XVII secolo fu disastroso: nel 1612 il borgo fu distrutto da un'inondazione seguita ad un nubifragio, ci fu subito dopo un periodo di siccità che culminò con un'invasione di cavallette che distrusse i campi, fonte principale di sostentamento. Siamo nel settembre 1619. Nel 1626 sulla spiaggia di Donnalucata furono ritrovati degli indumenti, probabilmente provenienti da una nave appestata, che causarono la Peste a Scicli (e solo a Scicli in tutta la Contea). Infine nel 1693 fu colpita da un terremoto e dal conseguente maremoto che danneggiò gravemente la Chiesa e l'Eremitorio (solo la torre sarebbe rimasta in piedi)
Nel 1721-22 il santuario venne ricostruito "con più polito e grato disegno e ornamento di stucchi e pitture" ma secondo le misure precedenti, dal ricco e benemerito Sacerdote D. Paolo Sammito.
I quadri che l'ornavano sono attribuiti dal Carioti a uno stesso pennello. Qualche decennio dopo, l'altare maggiore venne decorato dal bellissimo quadro della Madonna a Cavallo del pittore romano Pascucci, che negli anni 1920 venne portato a S. Matteo e sostituito con un altro sempre della Vergine a Cavallo, riferibile al 1600.
In questi anni mastro Simeone Messina da Scordia, a spese del Sammito, fece gli stucchi che ornano la chiesa: "i pilastri scorniciati, con basi, capitello e friscio; il cornicione con dentello e cagnolato che gira per tutta la chiesa; le ghirlande sopra l'arco maggiore con lo stemma del Sammito, un'aquila con le ali aperte, e ai lati due puttini".
Particolarmente curata fu la cappella absidale, con ai lati dell'altare quattro colonne tortili e due grandi angeli, e sopra la trabeazione due puttini col cartiglio. L'insigne benefattore voleva rendere la chiesa sacramentale e in seguito alla richiesta del magistrato, il Carioti stesso, da pochi giorni nominato arciprete della Chiesa Madre, aveva dato il suo consenso, con atto del 28/5/1722 in notaro Biagio Mirabella. Purtroppo non se ne fece nulla, perché il Sammito non provvide al lascito per il mantenimento dell'eucaristia, prima della sua morte, avvenuta il 12/8/1723.
IL MIRACOLO
Riguardo alla famosa «Impronta Prodigiosa» del piede della Vergine che ancor oggi si conserva nella parte posteriore della Chiesa, custodita da un piccolo tempietto a pianta circolare, si hanno testimonianze risalenti ai primi del 1600. Ma poiché nelle memorie più antiche la Madonna appare su una nuvola in cielo col bambino in braccio, si è portati a credere, pur nel rispetto della secolare tradizione degli sciclitani, che la Vergine a Cavallo, raffigurata in numerosi quadri del '600 e '700 e la sua 'Impronta' siano una modifica e aggiunta posteriori (forse del 1500).
Nella memoria del Di Lorenzo non è fatto alcun cenno a un impronta di piede lasciata nella roccia dalla Vergine o dal suo cavallo. Anzi ciò viene escluso implicitamente, perché la Madonna non appare a cavallo in mezzo ai combattenti ma in cielo col bambino in braccio e la spada nella destra. Il primo che parla dell'impronta del piede del cavallo è il notinese Rocco Pirri che nella sua prima edizione della «Sicilia Sacra» (Palermo 1638-41), dopo aver riportato il passo del P. Inchofer sull'apparizione della Madonna a cavallo, aggiunge: «Adhuc vestigia equi visuntur» (Ancora si vedono le orme del cavallo).
D. Francesco Buono nella sua vita di S. Guglielmo (Palermo 1652), citando questi due autori, afferma anch'egli che «la Vergine lascia l'impronta del piede del cavallo sulla roccia» e poi si dilegua in cielo. Anche l'Alberti dice che la Madre di Dio, dopo la vittoria, «diede di volta al suo cavallo e tornata al luogo dove prima era apparsa vi lasciò impressa in una dura pietra le orme del suo cavallo». Riferisce poi l'opinione del P. Guppenberg secondo il quale l'orma sarebbe del piede della Madonna, impressa nello smontare da cavallo. Il P. Stanislao dà più credito al Pirri, ma non vuole rigettare come falsa la «seconda tradizione perché a questo tempo non si può discernere se sia pedata umana ovvero di cavallo: colpa della divota curiosità delle genti in toccarla e del tempo, che in 600 anni e più l'ha in qualche parte smaltita».
Il Carioti ricorda il memoriale presentato dai giurati dell'Università di Scicli al re di Spagna Carlo II nel 1672 per la conferma del titolo di "Città Vittoriosa" a Scicli. In esso è detto che «la Vergine.., lasciò sulla pietra le vestigia e rampe del cavallo, che fin oggi si scorgono e conservano nella chiesa in tal memoria eretta nell'istesso luogo ove successe la miracolosa battaglia». La chiesa fu detta S. Maria Militum e la città ebbe il nome di vittoriosa, come raccontano il P. Inchofer e il Pirri. L'arciprete riporta ancora la lettera del Vescovo di Siracusa Mons. Matteo Trigona datata Palermo 15/2/1736 e indirizzata al Card. Gentile per impetrare dalla S. Sede l'ufficio e la Messa alla Gran Signora delli Milici. In essa il prelato riferisce la costante tradizione dell'apparizione della Vergine a cavallo e dell'erezione nel 1093 del tempio «ubi lapidibus impressum equini pedis vestigium celebre observatur» (dove si osserva la celebre impronta del piede di cavallo impressa nella pietra). Anche l'Eremitorio, che venne ricostruito e ampliato dal Sammito, è famoso per avere ospitato santi eremiti, tra cui il Ven. Fra Pietro Lutri, e soprattutto Fra Mariano Perello.
Altre opere furono fatte nella seconda metà del '700 dagli amministratori nominati dall'Università di Scicli. Infatti, fin dai tempi Normanni, l'amministrazione del Santuario fu affidata al Comune di Scicli.
I ritratti in tela dei procuratori deI '600, '700 e prima metà dell'800 furono vandalicamente distrutti dai rifugiati del colera del 867. Dopo l'incameramento dei beni ecclesiastici, lo zelante Frate Minore sciclitano Antonino Pisani lo riscattò e lo riadattò a convento e poi noviziato francescano. Il novizio più famoso fu il grande predicatore P. Giuseppe Balestrieri.
Durante il periodo del terremoto la zona era stata ceduta dal nobile Fabiano Arizzi a Giuseppe Miccichè che a sua volta l'aveva ceduta alla famiglia Mirabella che ancora l'avevano venduta ai gesuiti.
Ci riferisce il Pacetto che in tale periodo il nome di Donnalucata, derivato dalla fonte, era stato assunto non solo dalla zona, ma anche da una torre (probabile riferimento alla "torre saracena"), di proprietà del barone Miccichè, che aveva funzione di protezione della borgata. La stessa sorgeva su una torre precedente che risaliva secondo lo Spadaro addirittura al XIV secolo ed era stata costruita, assieme a molte altre nella zona, su disposizione del Vicerè D. Giovanni Di Vega.