Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Chiesa di Sant Andrea
La Chiesa di Sant’Andrea fu fondata intorno al 1400 ed aveva sede nell’ex Collegio di Maria che accoglieva le suore di clausura carmelitane. Ancora oggi, all’interno della Chiesa sono presenti le grate ricurve attraverso le quali, le suore, assistevano alle sacre funzioni.
La chiesa, non avendo subito modificazione alterative nella facciata, conserva l’aspetto esterno originario, salvo la mutilazione della scalinata del prospetto, ridotta, per ragioni di viabilità, nelle dimensioni e dotata di un passamano metallico non proprio in linea con lo stile architettonico del complesso.
Resta tuttavia intatto il pregevole portale in pietra viva, sormontato da un fregio prominente su cui spiccano, sovrapposte, due sculture laterali e una centrale, in cui sembra ravvisarsi la figura di un pesce proprio perché Sant’Andrea è il patrono dei pescatori. Il campanile sulla sinistra custodisce due campane. Ma la vera attrattiva della chiesa sta nella posizione elevata che ne fa un elemento architettonico di decorosa presenza panoramica. La Chiesa, di medie dimensioni è a tre navate divise da colonne corinzie sulle quali estremità sono raffigurati i dodici Apostoli. Il tetto è a capriate lignee.La cappella centrale è finemente decorata con colori caldi. L’altare e l’ambone, di recente edificazione, sono in pietra e il pavimento è in marmo.
Nell’interno non sembrano esserci opere d’arte degne di particolare menzione al di là della buona fattura dei quadri e delle statue. Nell’altare maggiore risiede il simulacro ligneo di Sant’Andrea ricoperto in oro zecchino, recante la firma di Francesco Reyna e commissionato da P. Bartolomeo Bellomo nel 1690.Spiccano, tra le statue, un grande Crocifisso ricco di pathos, di autore anonimo e una bellissima e amatissima immagine della Madonna del Carmelo che porge lo scapolare dell’ordine carmelitano a san Simone. Quello scapolare, detto “abitieddu”, che nel paese veniva imposto a quasi tutti i bambini come segno di devota consacrazione alla Madre del Carmelo. E ancora va ricordata una statuetta dell’Ecce Homo da qualcuno attribuita erroneamente a Frate Umile da Petralia. L'attribuzione è ovviamente errata stante che nel 1682 il Frate era scomparso da almeno quaranta anni se la sua morte - come sostengono molti - era avvenuta nel 1639, o da più di mezzo secolo se ha ragione il Passafiume, il quale nel "De origine ecclesiae cephaleditanae" (pag. 51) colloca la data della sua scomparsa nel 1630.
Non sono trascurabili due tele presenti nella chiesa. Una, nella navata di sinistra, ove sono raffigurati gli apostoli Giacomo Maggiore, patrono di Gratteri, San Filippo e Sant' Andrea, attribuita a un certo Geronimo Lombardo, del quale si sa ben poco. L’altra, nella navata destra, raffigura l’Annunciazione ed è ritenuta opera del cosiddetto Zoppo di Ganci. Ma a proposito di costui c’è da dire che non si può essere certi sulla sua identità, essendo due i soggetti con tale soprannome, Gaspare Vazzano (1560 circa, 1630 c.) e Giuseppe Salerno (1570, 1633), entrambi gangitani e contemporanei, ed inoltre, che trattandosi di una firma (quella di Zoppo di Ganci ) molto rinomata, non è da escludersi che siano state attribuite al pennello di tale artista opere di diligenti imitatori. Nella Chiesa ha sede la confraternita della Madonna del Carmelo.
Sulla fondazione della chiesa di Sant’Andrea sono riscontrabili due datazioni diverse, differenti di circa un secolo. Quella che vediamo più ricorrente è la data intorno al 1415, che si legge nel volume Gratteri - storia, cultura, tradizioni - di Isidoro Scelsi, ben meritato punto di riferimento della storia gratterese. Non dissimile è la datazione che si trova in Sicilia da conoscere (Ed. Nocera, San Cataldo 1998) di Santi Correnti, il quale colloca la costruzione della chiesa pure nel secolo XV. Diversa è invece la datazione che si può ricavare dall’articolo in Abitare a Gratteri (Facoltà di Architettura di Palermo 1978-79) di Giuseppa Di Francesca. Costei precisa che «tra il XVI e il XVII sec. l’insediamento di espandeva verso est oltre il torrente, insistendo sulla collina di fronte al monte S. Vito ...». E aggiunge che «segni caratteristici di questo nuovo assetto urbano sono la costruzione del ponte nuovo, a monte del ponte vecchio, la chiesa di S. Andrea e la chiesa di S. Giacomo».
La data deducibile da quest’ultima notazione differisce dalle due precedenti, le quali sono quasi certamente errate. Quella del Correnti forse per mera distrazione, dato che lo stesso concorda con la Di Francesca sull’inizio della espansione del borgo, che egli colloca per l’appunto a partire dal XVI secolo. Non così invece riguardo all’altro caso, nel quale c’è stato un vero e proprio fraintendimento del testo da cui l’autore ha ritenuto di dedurre la datazione da lui ipotizzata. Questo si legge infatti nel passo citato: «Ab hinc circiter annis 130 fundatum fuit Coenobium Sororum Monialium in aedibus Graegorij Gratterij Sacerd. sub titulo Divae Mariae Lauretanae, ubi ad praesens commorantur 22 Moniales, sub regula Divi Benedicti constitutae». Da cui non si può dedurre affatto quanto si afferma nell’anzidetta Storia di Gratteri, ma (traduciamo rigorosamente alla lettera): circa 130 anni fa fu fondato il cenobio di sorelle monache nella casa del sacerdote Gregorio Gratteri sotto il titolo di Santa Maria di Loreto, dove al presente coabitano 22 monache, poste sotto la regola di San Benedetto».
Se il passo si riferisse (ma, come vedremo non può essere) alla nostra chiesa, ci sarebbe già un cospicuo errore di datazione, dato che 130 anni dalla data di pubblicazione del testo del Passafiume (cfr. De origine ecclesiae cephaleditanae, pag. 46), avvenuta nel 1645, porterebbero la costruzione al 1515 e non al 1415. Ma l’errore più grave sta nel fatto che il Passafiume, nel luogo citato, parla di un monastero fondato in quel di Tusa e non a Gratteri.
So bene che non si tratta di stabilire la data esatta di un monumento sovrannazionale. Il che rende poco importante l’errore riscontrato nel nostro caso. Ma è sempre bene, quando è possibile, evitare di dare punti di riferimento non esatti agli studiosi che vorranno occuparsi della stessa materia.
L’abbinamento della chiesa a un monastero c’è stato realmente. Non, però, di monache benedettine, ma di carmelitane. E comunque successivamente al 1645, se dobbiamo credere al Passafiume che in tale data attesta la presenza a Gratteri di un «unico convento, annesso alla chiesa di Santa Maria di Gesù, dove coabitano pochi Frati Minori Conventuali». D’altra parte l’ordine carmelitano venne riformato nel XVI secolo da Santa Teresa d’Avila (1515-1582), contemporanea del nostro Padre Sebastiano (1504-1580), e da San Giovanni della Croce (1542-1591). Religiosi, entrambi, spagnoli, onde diventa affatto probabile la diffusione dell’Ordine nel secolo successivo, di estesa dominazione spagnola, anche in piccoli centri come il nostro paese. Coeva dovette essere la costruzione della chiesa, posteriore a quella di san Giacomo in accordo con l’espansione del centro abitato oltre il “fiume”, che con molta probabilità, come logica vuole, procedette dal basso verso l’alto. E la chiesa di sant’Andrea si colloca per l’appunto nella parte più alta dell’abitato prospiciente il monte San Vito.
Che a fianco della chiesa vi fosse un monastero carmelitano è testimoniato, oltre che dall’edificio strutturalmente adatto alla vita monacale di clausura e dalla presenza della tomba di un religiosa (madre Maria Bellomo) molto probabilmente - secondo lo Scelsi - di tale ordine monastico, anche dal fatto che nella chiesa si pratica da epoca immemorabile il culto della Madonna del Carmelo e vi ha sede la confraternita omonima.
C’è da aggiungere, però, che dal 1769 nell’edificio venne costituito, per volontà del Barone di Gratteri e Principe di Belmonte, Giuseppe Emanuele Ventimiglia, un Collegio di Maria. Uno dei tanti che fiorirono in Sicilia nel XVIII secolo (il primo nel 1721 nella contrada della Olivella di Palermo), in cui le religiose dell’ordine fondato dal cardinale Pietro Marcellino Corradini di Sezze (1658-1743) curavano l’alfabetizzazione e l’istruzione religiosa delle ragazze del popolo, soprattutto se bisognose di aiuto materiale e morale, che istruivano anche nella pratica dei lavori domestici e artigianali femminili. Un’opera, questa, certamente benemerita al di là di ogni considerazione sociologica in relazione agli intenti di autotutela del potere politico allora dominante nella nostra Regione.
Dopo le note leggi di soppressione (7 luglio 1866 e 15 agosto 1867) votate dal Parlamento del costituito Regno d’Italia, la sorte dei collegi di Maria fu generalmente quella degli altri enti ecclesiastici, che di fatto vennero soppressi essendo venuto meno il riconoscimento del loro status giuridico di soggetti capaci del possesso di beni non direttamente destinati alle pratiche liturgiche. La sorte del Collegio di Gratteri fu in certa misura diversa dato che esso era già chiuso dal 1845. Si legge, infatti, nel preziosissimo volume di Luciana Caminiti, Educare per amore di Dio: i collegi di Maria tra Chiesa e Stato, edito da Rubbettino nel 2005: «nel 1845 moriva l’ultima collegina e il Principe chiudeva la scuola e sospendeva il pagamento dell’assegno di sostentamento». Dal 1868, dopo la promulgazione delle leggi anzidette, si apri una controversia tra il Comune e il principe, proprietario dell’edificio dove era stato allogato il collegio, presso la deputazione provinciale, la quale propose una soluzione di compromesso. Per nulla soddisfatto «il sindaco - come si legge alla pag. 37 del citato volume - intentava causa per il mantenimento degli obblighi statutari e nel 1870 otteneva una sentenza favorevole che condannava i Belmonte alla consegna degli immobili e al pagamento degli arretrati dal 1845 al 1870, oltre ad un assegno annuo di £ 1200. Ciò aveva consentito al comune di riattare i locali ed assumere due maestre che si occupavano di mantenere tre classi femminili». Le scuole erano allocare al piano terreno, che comunicava con un giardinetto adiacente, mentre le stanze del piano superiore erano destinate all’alloggiamento delle maestre forestiere.
La successiva sorte dell’edificio, che conservò a lungo la denominazione di Collegio, fu quella di una completa ristrutturazione per essere adibito, nell’ultimo quarto del secolo scorso, a sede della scuola media locale.
A cura di Giuseppe Terregino