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(Dal Fazello - Storia di Sicilia,
deca I,lib. VI,cap.I)



Castello di Torremuzza

Castello di Torremuzza




Nei Nebrodi sud-orientali, nella valle di Bolo, fra Bronte e Troina, su di una collina a 689 m. s.l.m., sorge il castello di Torremuzza, nell'ex feudo e casale di Cattaino nel cui sito già nei tempi antichi c'era stata la presenza umana, attestata da ritrovamenti del IV - III secolo a.C., probabilmente del periodo greco e greco-ellenistico, convalidati dalla esistenza del più consistente vicino sito archeologico di Bolo. Del castello si apprende che durante la dominazione spagnola eil il periodo borbonico venne utilizzato come prigione. Si ritiene, secondo tradizione locale, che il nucleo più antico risalga ad epoca bizantina risalente al VI-VII secolo d.C.
Il complesso fortificato, innalzato alle pendici di Serra di Vito o di Caginia (1242 mt.), sorge su di un sperone di roccia calcarea accessibile solo da meridione. Agli altri punti cardinali corrispondono pareti a strapiombo difficilmente praticabili, sull'ansa del fiume di Troina o Serravalle. La fortezza, seguendo l'andamento della conformazione rocciosa, si articolava su due piani: in basso trovano posto recenti strutture, composte da ambienti probabilmente residenziali, forse adibiti in epoca recente a celle per i detenuti. Al livello superiore si accede attraverso piccoli gradini intagliati nella roccia, terminanti in un ingresso angusto un tempo ben protetto da una porta rinforzata, i cui cardini dovevano essere robusti, secondo quanto si può dedurre dai fori scavati nella pietra. L'intenzione è quella di isolare agevolmente il livello inferiore da quello superiore, che si presenta nell'aspetto di un'ampia terrazza non coperta, i cui bassi muri perimetrali sono caratterizzati da numerose feritoie quadrate o circolari. Trattasi di un ampio luogo di osservazione per il territorio circostante, una sorta di ampio terrazzo naturale recintato artificialmente, in grado di trasformarsi, all'occorrenza, in un ridotto fortificato isolato dal resto dello sperone roccioso. Inoltre, su questo terrazzo si distinguono a nord-ovest i resti di una torre, la quale si ritiene (tradizione locale) edificata in una imprecisata epoca della dominazione bizantina in Sicilia (VI -VII secolo).
La fortezza fu ampliata prima dai Normanni, successivamente dagli Spagnoli ed infine adibita a prigione. Oggi di essa rimangono purtroppo pochi ruderi; tuttavia è ancora possibile ricostruirne l'originaria struttura che poggia su di un affioramento di roccia ai margini occidentali della piccola rocca. Dai resti si può dedurre una pianta circolare; la tecnica edilizia si compone di pietre locali non squadrate, unite insieme da malta. Sulla sommità si distingue quel che rimane del piccolo camminamento di ronda, accessibile probabilmente per mezzo di una scaletta elicoidale in pietra, secondo quanto lasciano intendere alcuni fori presenti lungo la parete interna superstite. Nell'insieme l'intero corpo di fabbrica presenta una tecnica costruttiva e un impianto edilizio relativamente recente. Non si posseggono al momento dati storici certi che permettano una sicura datazione, solo ipotizabile tra il XVII e il XVIII sec. d.C. E' comunque probabile che la torre sia preesistente, sebbene non vi sia prova alcuna per una datazione ad epoca bizantina.

Un po' di storia
Lo stato di conservazione, è alquanto intatto nelle sue strutture murarie esterne, nelle fortificazioni, nel sistema di difesa e rappresenta un modello di architettura militare minore, diffusa nell'interno della Sicilia, nel secoli XII e XIII. Del casale di Cattaino ne parlano vari studiosi: V. Amico, Plumari, Mandalari, De Luca e soprattutto B. Radice, i quali, più o meno concordano nel dire che lo stesso esisteva nel secolo XIII.
Era sottoposto al mero e misto impero di Randazzo, cioè alla giurisdizione civile e penale, in virtù del privilegio del 1348 del re Federico III d'Aragona, con altri undici casali della zona, cioè: Spanò, Carcaci, Bolo, Cutò, Pulicello, Santa Lucia, Floresta, S. Teodoro, Cesarò, Maniace e Bronte.
Come feudo, invece, appartenne a diverse famiglie baronali: nel 1296 ai De Manna, baroni di Santa Lucia e di San Pietro; nel 14O8 ai Crisafi; nel 1453 ai Sant'Angelo; nel 1500 ai Tornabene; dal 1789 agli Ugo delle Favare.
Durante la guerra del Vespro, a seguito della richiesta del re Pietro d'Aragona, giunto a Randazzo nel mese di settembre 1282 per soccorrere Messina assediata dagli angioini, il casale Cattaino, soggetto alla servitù militare, invia arcieri, fanti e vettovaglie agli aragonesi.
Secondo il De Luca, il casale Cattaino scomparve a seguito della forzata unione a Bronte dei 24 casali, ordinata nel 1535 dall'imperatore Carlo V. Di diverso avviso è B. Radice, che elencando le borgate o masse obbligate a riunirsi tutte nel casale di Bronte, sotto pena di distruzione delle case o capanne, non vi comprende il casale Cattaino in quanto apparteneva al proprio barone feudale.
Probabilmente, il casale scomparve per qualche evento naturale o per il venire meno di adeguate condizioni economiche e sociali nel corso dei secoli XV o XVI, come avvenne per Maniace e per altri casali della zona.
I baroni del Cattaino abitavano per lo più in Randazzo, soggiornando anche nel castello di Torremuzza, che venne ingrandito e fortificato a più riprese.
Come dice il Radice, il nome "Cattaino" potrebbe derivare dalla voce araba "Calat", che significa castello o fortezza munita da natura anziché dall'opera dell'uomo. Ed infatti l'alta ed impervia rocca su cui sorge potrebbe dare credito a tale ipotesi. Inaccessibile da tre lati, sia per la presenza del fiume, che della parete rocciosa verticale, consente l'accesso solo dal lato ove è ubicato l'ingresso, a sua volta protetto da una duplice cortina muraria, dotata di feritoie angolate per dirigere il tiro delle balestre in direzione della porta di accesso.
Il castello è detto di "Torremuzza", perché la torre originaria, di probabile epoca bizantina o araba, venne spaccata in due da un fulmine, e quel che oggi resta, è una metà di essa.
Durante il periodo normanno- svevo-aragonese, attorno alla torre fu costruita una prima cinta muraria, dotata di merlatura e caditoie.
In questo periodo la torre faceva parte di quella catena di torri e fortificazioni interne della Sicilia che servivano per la trasmissione delle notizie mediante segnalazioni ottiche o con fuochi, nonchè per la vigilanza della regia trazzera Giardini-Termini che passava nelle vicinanze.
In questo tratto, verosimilmente, avevano la stessa funzione il castello di Bolo, e quello di Maletto detto "la torre del Fano".
In seguito, sotto gli spagnoli, mancando il casale, il castello probabilmente, fu trasformato in una masseria fortificata, con la costruzione della seconda cinta muraria e successivamente in un tetro carcere del comune di Bronte, divenendo luogo di orribile detenzione anche per prigionieri politici.
Si raccontavano, dice il Radice, "strane" leggende, forse di torture, morti e fantasmi.
Oggi i resti del Castello, completamente abbandonati a se stessi, sono preda delle intemperie, recinto per le mandrie bovine ed ovine, nonchè luogo di appostamento per i cacciatori.
Dal castello di Torremuzza, guardando verso Bronte e l'Etna, si scorgono i ruderi del castello di Bolo, più importante, non tanto per i resti, quanto per la funzione e posizione, posto alla sommità dell'omonima collina e contrada, a vedetta dell'ampia vallata situata tra Bronte, Maniace e la Placa.
Questo castello ebbe una funzione primaria e centrale per l'economia dell'intera zona.
Sorvegliando dall'alto la strada consolare sottostante, dominava anche il ponte normanno detto dagli arabi della "Cantera", fatto costruire nell'anno 1121 dal re Ruggero II in memoria della madre, la contessa Adelasia, punto strategico di attraversamento del Simeto, nei pressi del quale ancora esiste un mulino ad acqua del periodo medioevale.
E' evidente la grande importanza culturale del castello di Torremuzza, collocato all'interno della zona, ben visibile dalla statale 120 che sale a Cesarò e quindi a Troina e il ruolo che potrebbe avere quale naturale continuazione dell'itinerario turistico già esistente verso il castello Nelson a Maniace.
Oltre alla giusta conoscenza e tutela di un tale monumento, testimonianza della nostra storia, è doveroso da parte di chi di competenza intervenire per consentirne la fruizione da parte della collettività.

Giorgio Michele Luca
dal sito Bronteinsieme




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