Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Il castello di Caccamo, realizzato in pietra calcarea cavata nel suo stesso sito, sorge su uno sperone roccioso, sul versante Nord-Est del monte Calogero. L'edificio, per l'alternarsi nei secoli delle diverse famiglie signorili, si presenta oggi come un insieme di corpi di fabbrica costruiti in varie epoche. Si accede al castello salendo un'ampia rampa cordonata, in cima alla quale vi è un primo cancello d'ingresso che immette in una corte su cui si affacciano fabbriche quattrocentesche .Varcato un secondo cancello si giunge in un silenzioso cortile che, attraverso un andito, immette al teatro del castello. Sempre nel cortile, di fronte all'ingresso del teatro, doveva insistere l'alloggio delle guardie del castello, da cui aveva inizio il percorso assegnato alla ronda per il servizio di sorveglianza. Sul lato destro una apertura sormontata da un arco a tutto sesto, sopra cui poggia un altro arco a sesto acuto, porta ad un terrazzo, in cui sorge la piccola chiesa di corte e in cui vi è l'ingresso alle prigioni. Si tratta di vani dalle pareti umide e annerite, con incisi motti e improperi e figure varie che esprimono lo stato d'animo di chi si trovava lì in attesa di giudizio; tetti bassi e giacigli in muratura che testimoniano l'orrore del luogo di pena. Un breve vestibolo immette nelle altre ali del castello, nelle cui pareti sono incassate due lapidi: una, del 1665, posta sul lato destro dell'entrata, ricorda uno strano sogno di don Antonio Amato, duca di Caccamo, secondo cui nel castello esistevano numerosi orci d'olio; l'altra, nell'androne d'ingresso, su una pietra murata, contiene la perifrasi di un distico elegiaco dei Tristia di Ovidio: « Tempore felici omnes gaudent amici dum fortuna perit nemo amicus erit». Attraversato il vestibolo, ci si trova in un vasto cortile con varie porte tra cui quella che immette nei saloni del castello, distinta dalla lapide sulla sua sommità, posta a ricordo della sconfitta inflitta dai caccamesi agli angioini nel 1302. Un altro percorso per giungere al cortile è un corridoio stretto e modesto, riservato esclusivamente alla servitù. I vani del castello sono di varie misure, divisi da muri di grosso spessore e comunicanti tra loro attraverso grandi e piccole aperture. Dal portale del cortile si entra nel salone detto «della congiura», perché, secondo la tradizione, fu proprio in questo salone che nel 1160 si riunirono i baroni del reame di Sicilia ribelli a re Guglielmo, capitanati dal signore di Caccamo Matteo Bonello. Dalle pareti pendono diverse armi da guerra: elmi, scudi, pugnali, spade, scimitarre, frecce; il soffitto è a cassettoni dai disegni tardo-rinascimentali. In altra stanza, dentro una specie di alcova, è ancora visibile la botola di una segreta via d'uscita.
Da questo salone si accede nelle camere private del castellano, nella sala dei convegni, nelle stanze da letto. Tutti questi vani, a loro volta, immettono su un ampio terrazzo. Nell'ala opposta vi sono la sala da pranzo dagli affreschi del '600, dai pavimenti a mosaico; e le sale della foresteria. In una di queste un'apertura immette in una piccola stanza che un tempo funzionava da cappella, e in cui, al centro del pavimento, una tavola quadrata fa da caterratta ad una botola. Nell'ala a levante, non più praticabile, gli ambienti si aprivano su due grandi balconi, uno dei quali viene detto della «bella vista» per il meraviglioso panorama che offre sulla città di Caccamo. Nel piano sottostante a quello nobile, con accesso attraverso una scala scavata nella roccia, esistono ancora gli appartamenti per la servitù, nonché enormi magazzini per le vettovaglie e altro. Durante il Medioevo si accedeva al castello dal lato sud-ovest, dove si innalzavano le torri dominanti l'antico quartiere Terravecchia, che rappresentava la cittadella del maniero. A difesa del castello e della cittadella vi erano quattro torri, ciascuna fornita di sottostante cisterna: quella di Pizzarrone, a valle, la torre della Piazza, non più esistente, la torre delle Campane, oggi campanile del Duomo, e infine l'attuale campanile della chiesa dell'Annunziata. La parte di tramontana del castello venne rimaneggiata e fortificata durante il dominio dei Chiaromonte. Essi fecero costruire l'ala di nord-est, una torre a ridosso del Mastio e la torre detta del Pizzarrone posta allo sbocco delle fogne a valle; fecero restaurare la torre Gibellina. Ai Prades-Cabrera, si deve, invece, la realizzazione della torre della «Fossa» o del «Dammuso» e del corpo che contiene, nella parte alta,un grande appartamento detto delle «Audienze», più tardi adibito a teatro per le riunioni poetiche che organizzava Giuseppina Turrisi Colonna; e nella parte bassa le scuderie. Secondo l'Inveges la torre «Mastra», crollata in seguito al terremoto del 1823, fu la più antica e alta torre della fortezza, attorno alla quale si sviluppò il resto del castello e della cittadella. I locali della torre erano angusti con strette aperture e monofore a tutto sesto. Con la signoria degli Amato il castello da edificio difensivo diviene palazzo baronale seppur arricchito dagli stessi da un'abbondanza di merli. In particolare la parte sud del castello viene arricchita di soffitti lignei dipinti, pareti decorate da fasce affrescate. Il portale d'ingresso al salone principale venne inquadrato da alte colonne, coronato da un sontuoso timpano spezzato. Amplissime finestre con balconi sostenuti da mensoloni di pietra s'affacciano sul quartiere della Terravecchia. Le coperture dei locali medievali sono a botte, sia a tutto sesto che ogivali, le finestre ogivali per il periodo compreso tra i secc. XIV-XV, a tutto sesto nella parte più antica e in quella del XVI secolo. Più nulla dei ricchi arredi del tempo dei Chiaramonte nel quale il castello ebbe il suo pieno fulgore e assai poco dei primi anni della signoria dei De Spuches poiché si vuole che uno di questi, tipo straordinariamente prodigo, vissuto nel secolo scorso, svuotasse quasi il castello del suo prezioso contenuto, del quale due magnifici arazzi siciliani a disegno orientale figurano oggi nel museo di Termini Imerese. Di questo nobile signore si narra anche un singolare, commovente episodio. Alla sua morte avvenuta a Termini, il popolo di Caccamo non volendo rinunziare ad avere presso di sé le spoglie del suo benefattore, vietando la legge le sepolture in chiesa, si recò di notte a rubarne la salma che seppellì nella propria cattedrale dove se ne vede tuttora la lapide. Ancor oggi la nobile famiglia, a differenza di molte altre, cura in gran parte la difficile conservazione del grandioso e storico maniero. Splendide le terrazze dalle quali ci si affaccia sulla grande vallata ed orrende le sotterranee prigioni. Sopra una lastra, nel muro della rampa, un'antica incisione raffigura una mano reggente la bilancia, con le iniziali D.I.V.Q.I.T., che stava a dimostrare il potere del castellano di amministrare giustizia. Attuale proprietario Antonio De Spuches principe di Galati, duca di Caccamo e di Santo Stefano.
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