Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Secondo lo storico greco Plutarco, il suo nome deriva da katane (cioè grattugia), scorticatoio, per l'associazione con le asperità del territorio lavico su cui sorge. L'etimologia resta comunque oscura: secondo altre interpretazioni, il nome deriverebbe dall'apposizione del prefisso greco katà- al nome del vulcano Etna (Aitnè, dal greco) (in modo che ne risulti "nei pressi di" o "appoggiata" all'Etna). I mitologi antichi favoleggiano dei Ciclopi e dei Lestrigoni, che avrebbero abitato l'area della Sicilia che comprende oggi l'Etna, Catania e Lentini. I primi, noti per la leggenda narrata nell'Odissea, sarebbero stati esseri giganteschi e mostruosi con un solo occhio, che, possono essere spiegati o come personificazione dei crateri dell'Etna o dalla presenza di crani di elefanti nani, certamente esistiti nell'Isola, in cui il buco della proboscide venne interpretato come cavità oculare. Nell'Odissea Polifemo, il capo dei Ciclopi, accecato con astuzia da Ulisse, avrebbe scagliato dei massi enormi per cercare di colpire il natante dell'eroe greco, senza riuscirvi. Questi massi, caduti in mare, sarebbero i Faraglioni e l'isola Lachea, antistanti Acitrezza. I secondi, i Lestrigoni, ancora secondo le leggende narrate da Omero, erano anch'essi di statura gigantesca ed antropofagi ed avrebbero abitato le terre di Lentini. Un altro dei miti catanesi è il ratto di Proserpina. La grande fontana in Piazza della Stazione richiama la leggenda della bella Proserpina, figlia di Zeus e di Demetra, mentre viene strappata alla terra da un Plutone dal volto corrucciato su un cocchio tirato da cavalli e da sirene. Trattandosi di una leggenda legata alla religiosità agricola mediterranea, anche per il ruolo svolto da Demetra, dea delle messi, il luogo della scena del ratto è stato rivendicato da diverse popolazioni, dai tarantini ai lentinesi, dagli ennesi ai siracusani e ai catanesi. Essa rappresenta, comunque, l'esperienza religiosa della fertilità della terra, che tra i popoli mediterranei aveva una grande diffusione. Secondo la tradizione più accreditata, i più antichi abitatori storici della Sicilia, che si stanziarono anche alle falde dell'Etna, sarebbero i Sicani, popolazione agricola che chiamò l'Isola Sicania. Queste genti furono successivamente cacciate all'interno dai Siculi, guerrieri provenienti dalla penisola italica. Ancor oggi, quando i siciliani vogliono essere creduti in ciò che affermano, giurano sui propri occhi, perchè i Siculi punivano gli spergiuri con l'accecamento. A una leggenda antichissima è riportata l'origine dell'elefante di Catania, che dal 1239 è il simbolo ufficiale della città. Questa leggenda, ricollegandosi al fatto storico che la Sicilia, nel paleolitico superiore, possedeva tra la sua fauna originaria anche l'elefante nano, racconta che quando Catania fu per la prima volta abitata, tutti gli animali feroci e nocivi furono messi in fuga da un benigno elefante, al quale i catanesi, in segno di gratitudine, eressero una statua, da essi chiamata col nome popolare di Liotru, che è una corruzione dialettale del nome di Eliodoro, un dotto catanese fatto bruciare vivo nel 778 dal vescovo di Catania. Secondo il geografo arabo Idrisi l'elefante di Catania è una statua magica, un vero e proprio talismano, costruito in età bizantina, in pietra lavica, proprio per tenere lontane dalla città le offese dell'Etna. I catanesi sono legatissimi al simpatico pachiderma, tanto da autodefininirsi marca elefante quando vogliono dire di essere catanesi autentici. Altre leggende popolari sono quelle dei fratelli Pii, che, avendo salvato i vecchi genitori dalla furia della lava, resero Catania celebre per la pietà filiale, dei giganti saraceni Ursini, sconfitti ed uccisi dal paladino Uzeta, del cavallo del vescovo di Catania che sparì dentro il cratere dell'Etna, della patetica storia di Gammazita, che si gettò in un pozzo per non essere disonorata da un soldato francese, della variante catanese di Cola Pesce, del cavallo senza testa, che gli intriganti frequentatori settecenteschi di via Crociferi inventarono per non essere notati o riconosciuti quando si recavano a segreti incontri amorosi o in luoghi di cospirazione.
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