Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Castello di Calatabarbaro
Dopo il definitivo abbandono dell'antica città di Segesta a partire dalla seconda metà del VII secolo d.C., l'area sommitale del monte Barbaro venne rioccupata, agli inizi del XII secolo, da una popolazione islamica con la fondazione di un villaggio denominato Calatabarbaro (in arabo “Castello del Berbero”) e la costruzione di una moschea, l’unica di quel periodo finora rinvenuta in Sicilia.
La conquista islamica del IX secolo non aveva comportato rotture traumatiche nella dislocazione dell’insediamento. La valle del fiume Freddo continuò ad essere sede privilegiata dell’insediamento attraverso piccoli nuclei non protetti, tra i quali il casale "rahal" di Contrada Arcauso, anche quando tra la fine del X e l’XI secolo si svilupparono gli abitati musulmani sulle alture di Calatafimi e di Calathamet, quest’ultimo, probabilmente, sede del capoluogo di distretto islamico. Quando i Normanni invasero la Sicilia, nel secolo successivo, trovarono un territorio completamente islamizzato e si insediarono pertanto nelle località strategicamente più importanti, occupando a loro volta Calathamet, dove costruirono un castello feudale e una chiesa. I musulmani tornarono ad abitare l’altura di Segesta, abbandonata da secoli, che diventò, con il nome di Calatabarbaro, il polo antagonista ai siti fortificati normanni. Nella seconda metà del XII secolo l’abitato islamico si ingrandì al punto di occupare le due cime del Monte Barbaro, dotandosi anche di una grande moschea congregazionale. Mentre Calathamet declinava e i villaggi nel fondovalle venivano abbandonati, tra la fine del XII e il XIII secolo i contadini musulmani di Calatabarbaro, ribelli al dominio normanno, convissero con la feudalità usurpatrice sveva, la quale costruì a sua volta sulla cima del monte una dimora signorile e una chiesa cristiana triabsidata.
Durante la prima fase di costruzione del dongione furono inglobate e riutilizzate strutture preesistenti: muri 'tardoromani' e ambienti del periodo islamico dell'abitato (inizi del XII secolo). Pochi decenni dopo la sua fondazione (1220-1250 ca.), l'edificio venne ristrutturato (forse in seguito ad un incendio) ed ingrandito con la costruzione di ambienti nuovi (lato ovest). Intorno alla metà del XIII secolo, prima il villaggio e poi il castello vennero abbandonati definitivamente. In età sveva l’insediamento rimase ancora polarizzato tra Segesta/Calatabarbaro e Calatafimi, munito di fortificazioni nella zona di massima quota. Intorno alla metà del XIII secolo Segesta subì una fine violenta che sancì la definitiva cancellazione dell’elemento islamico anche in questa zona della Sicilia. L'unico centro che continuò a prosperare fino ai giorni nostri fu Calatafimi. I reperti del periodo “medievale” di Segesta, furono destinati ad essere esposti nel Museo Civico Archeologico di Calatafimi in via Tiro a Segno.
Soltanto nel XV secolo alcuni abitanti di Calatafimi fecero costruire una piccola chiesa, sopra quella di epoca sveva. Il dongione (m 19,5 x 17,5 nella sua fase finale) fu costruito secondo un preciso progetto architettonico, con una scelta accurata e differenziata (a seconda dell'uso) delle pietre, dei rivestimenti e delle pavimentazioni. Esso era diviso in due piani e non doveva superare i dieci metri di altezza. Si accedeva al piano terra da un ingresso posto sul lato occidentale ed al piano superiore attraverso una scala lignea posta sul lato orientale. Le stanze dei due piani erano coperte con volte a botte ed erano articolate intorno ad un cortile centrale mattonato sul quale si affacciano gli ingressi del piano terreno e le bifore del primo piano. Il cortile presenta al centro un 'tombino' circolare dal quale si diparte una tubatura fittile che convogliava l'acqua piovana non verso l'esterno ma sicuramente verso la cisterna situata all'intemo del recinto castrale. L'analisi delle strutture murarie ha evidenziato due fasi edilizie oltre il recupero di muri antichi e dell'abitato musulmano. Tutte le murature del nucleo centrale del dongione (spessore m 1,10-1,15) sono costruite in conci di calcare di medie e grandi dimensioni sommariamente sbozzati, legati con malta e con l'uso costante di zeppe in laterizio, mentre i muri perimentrali degli ambienti occidentali si differenziano per lo spessore (m 1,20-1,25) e, soprattutto, per i due tipi di legante utilizzati alternativamente: malta e terra. Il castello, riscoperto grazie allo scavo archeologico condotto da A. Molinari del Dipartimento di archeologia e storia delle arti dell'Università di Siena, è stato inserito nel percorso di visita del parco di Segesta, dopo un graduale restauro finalizzato alla conservazione delle strutture monumentali. Proprietà attuale: pubblica (Demanio della Regione Siciliana). Uso attuale: parco archeologico.