Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Santuario di Papardura - Enna
Il santuario di Papardura Superiore si trova nell'omonima contrada a sud-ovest della città di Enna, ed è facilmente raggiungibile imboccando via Libertà, dopo l'incrocio col viale Diaz ed immettendosi su una stradina lungo la quale sono segnate le stazioni della via Crucis che culmina sulla rocca del Calvario, un'area rocciosa ricca di grotte, fonti e rigagnoli, lì presenti in gran numero.
Pare che ciò sia stato all'origine del nome dato dagli arabi a questo sito: Papardura,infatti, significherebbe "roccia sudante", secondo un vocabolo "d'origine persiana", ovvero località di acque perenni e abbondanti, come afferma anche lo storico di Noto Vincenzo Littara, nella sua opera "Historiae Hennensis". Famosa è l'acqua del Crivello con il grande bevaio di acque potabili e con il lavatoio costruito dal comune per uso e comodità dei cittadini.
Un'altra ipotesi etimologica collega, invece, l'insolito nome alla improbabile venuta ad Enna di un Papa, che entrandovi per la porta allora esistente, da lì cominciò la visita alla città, spargendo benedizioni sul suo cammino. Secondo il Polotto Padre Lo Menzo - nella sua storia inedita - Papardura deriverebbe dalla forma Papa-ardura, perchè da quella località entrò in città il Papa, dopo avere adorato il Crocifisso, ma è anche vero che Enna non era mai stata visitata da un Pontefice.
C'è pure chi ricollega il nome alla temeraria impresa del bizantino Eufemio che in questi pressi nell'anno 828 ne sperimentò il tragico imprevedibile epilogo con un eccidio favorito dal tradimento dei suoi connazionali, che a lui spensero per sempre il sogno di predominio e agli arabi del suo seguito fecero rimandare la conquista di Enna di oltre sessanta anni.
Si crede che la memoria di quel truce avvenimento sia rimasta così viva nei futuri dominatori saraceni, che chia-marono il posto "bab-aurra", luogo (o porta) della disfatta, a ricordo e monito dell'infelice tentativo di conquista di Enna legato ad Eufemio. Altri ancora basano l'origine del nome su un più probabile "bab-ar-dur", toponimo pure d'origine saracena che, prendendo spunto dalle condizioni geomorfologiche del luogo, può significare "porta o valico delle abitazioni (grotte o tende) o dei gorghi d'acqua oppure luogo della via a gradini".
Nel 1824 il canonico ennese Giuseppe Alessi dava del Santuario questa descrizione: " Dal lato di mezzogiorno scaturisce una sorgiva sì copiosa, che somministra l'acqua ad un gran beveratoio, ad un piccolo mulino, ai sottoposti orti, ed in vari punti lì sgorgano perenni dolci ruscelli: onde il luogo è reso ameno dalla natura e dall'arte, che cospirano entrambe a render le acque perenni. Nella roccia sottoposta al beveratoio vi si osservano delle stalagmiti ramificate in forma di muschi, di foglia e di altre svariate figure...E’ detto questo luogo Papardura”.
La chiesa venne costruita in muratura su un terrapieno a ponte, sovrastato da una rupe, su cui giganteggia il caratteristico Calvario. Alla chiesa è inglobata la grotta, (dove venne ritrovata nel 546 un'immagine del Crocifisso, forse fatta dipingere dall'ennese Ascanio Lo Furco), realizzando così una unità architettonica di mirabile semplicità ed armoniaambientale. Il campanile che sorge accanto alla chiesa è stato anch'esso costruito sul ponte sul quale si aprono delle grotte naturali alcune visitabili. Gli arabi imposero il culto di Allah e determinarono l'abbandono della grotta e la perdita dell'immagine del Crocifisso che, ricoperta di terriccio, venne ritrovata, secondo quanto afferma padre Vincenzo Lo Menzo, in seguito al distacco di un frammento di roccia dal pendio della montagna.
Secondo le cronache dell'epoca, nell'anno 1693, da Leonforte, Assoro ed Agira, i rappresentanti delle municipalità venivano scalzi e dolenti, ai piedi del venerato Crocifisso di Papardura per invocare la pioggia nei terribili anni della siccità che portò la morte e la distruzione nelle contrade ennesi. I contadini, i braccianti, i pastori che abitavano nei feudi in capanne di paglia e fango o in quelle di legno amavano custodire i segni della loro fede. Nl 564 un certo Ascanio o Angelo Lo Furco o La Furca, d'accordo con gli abitanti delle campagne delle contrade Papardura, Pizzuto, Vaneddi, ecc. costituì dentro una grotta, a ridosso della montagna ennese, con l'apertura a sud-est, un oratorio, e sulla parete di fondo della grotta, sulla liscia parete di viva pietra, fece dipingere una scena raffigurante la Crocifissione così come, fino a quel tempo, era stata tramandata dai sacri racconti.
Il santuario presenta un prospetto austero, con rosone, ma all'interno la sua ricchezza decorativa è da considerarsi una delle migliori espressioni del barocco nella Sicilia centrale. Nella piccola chiesetta, infatti, sono concentrati un soffitto ligneo intarsiato a cassettoni , le dodici statue degli Apostoli , numerose tele e affreschi del Borremans, pittore fiammingo, e meravigliosi stucchi in gesso policromi realizzati da un maestro palermitano del Seicento. Gli smalti oro e rosso della teca che racchiude la "storica" pietra dipinta che il tempo l'aveva trasformata da ingenua pittura in un interessante graffito primitivo, che restaurato ha purtroppo banalizzato gli altri due quadri disegno e colori ma nell'insieme conferiscono alla chiesa una mirabile visione.
La chiesa ha un'unica navata attorno alla quale sono disposte le statue degli apostoli a grandezza naturale, poste alle pareti su mensole decorate. Degne di ammirazione sono le quattro splendide tele disposte lungo gli altari laterali che raffigurano: "La caduta di Cristo" di Benedetto Candrilli,unico pittore identificato, "Cristo alla colonna", "Cristo nell'orto", "L'incoronazione di Gesù"; due quadri raffiguranti "Cristo alla colonna" e "Gesù deriso".
Il tetto a cassettoni di legno scolpito, opera della fine dell' 800, è simile, in piccolo, a quello più celebre del Duomo della città.
Gli stucchi sono stati realizzati nel 1696 da Giuseppe e Giacomo Serpotta e ultimati nel 1699 dal Berna.
Nella grotta è sistemata l' abside con l'altare maggiore, sul quale si può ammirare un pregevole paliotto d'argento settecentesco, eseguito da Pietro Donia nel quale a rilievo e a bulino, è raffigurato il "Trionfo della Croce". Gli altri paliotti degli altari laterali sono in cuoio bulinato finemente decorato, con dipinti gli stessi motivi dei quadri degli altari. Interesante è un tosello con reliquario, con velluti e ragento.
In sacrestia vi è un casserizio a intarsi. Il corpo della chiesa è circondato da un caratteristico ponticello. Sul ponte si aprono grotte naturali, in una delle quali, dal 1969, è collocata una statua di Cristo morto, opera delo scultore Marzilla.
Lungo il percorso per giungere alla chiesa, sono da ammirare le tre croci musive poste sulla rupe detta "Rocca del Calvario", tappa finale di una artistica "Via Crucis", anche essa a mosaici, che si snoda lungo tutta la strada che porta al santuario.
Dalla balconata dell'eremo si offre allo sguardo uno spettacolare paesaggio; l'antichissimo gruppo di lavatoi costruiti dal Comune a vantaggio delle donne ennese che, per intere generazioni hanno lavato lì i loro panni.
Da secoli la Deputazione dei Massari, o Procuratori, ha la cura del tempio intitolato al "Crocifisso Abbandonato" e delle solennità liturgiche e ritualità tradizionali svolte in suo onore, e provvede a mantenere vivi gli aspetti devozionali più caratteristici e a salvaguardare col più dignitoso decoro le sacre supellettili e le opere artistiche che la chiesa conserva.
La Deputazione ha un preciso diritto di patronato regolato da uno speciale atto di costituzione e Ogni due anni elegge il capo o depositario.
I Massari devono versare una quota annuale per i bisogni della Chiesa e devono provvedere a raccogliere gli altri mezzi necessari per il mantenimento del culto al Crocifisso.
La chiesa vive un momento di vero splendore nel mese di agosto quando la curiosità dei turisti è attirata da giumenche e muli in giro per le strade; gli animali sono riccamente bardati con antichi finimenti di panno ricamati a colori vivaci, come i tradizionali carretti siciliani, guidati dal suono della cornamusa e accompagnati da procuratori che raccolgono i loro donativi e quelli degli altri devoti.
Attualmente la festa e la fiera di merci richiamano grandi folle di fedeli.