«1494 = QVISTV CASTELLV ET SITV DI LA TERRA FICHI FABRICARI LV MAGNIFICV SIGNVRI GVLLM RAMVNDN LV CASTELLV - REGIUS MILES BARUNI DI LA DICTA TERRA ET DI LA FAVAROCTA».
Castello dei Principi di Biscari - Acate
«1494 = QVISTV CASTELLV ET SITV DI LA TERRA FICHI FABRICARI LV MAGNIFICV SIGNVRI GVLLM RAMVNDN LV CASTELLV - REGIUS MILES BARUNI DI LA DICTA TERRA ET DI LA FAVAROCTA».
Questa lapide , un tempo murata nella nicchia dell'androne di accesso, assieme ad uno stemma composto di due draghi che sostengono un castello con tre torri, ed oggi nella parete della Sala Agatino Paternò Castello, riporta l'atto di nascita del feudo e del Castello.Nel 1492 infatti Gugliemo Raimondo Castello aveva ricevuto la concessione di edificare un fortilizio con barbacani ed un borgo e di popolarlo e certamente grazie alle migliori condizioni di vita offerte dal luogo e dalle concessioni del barone, la costruzione del Castello e delle case fu compiuta in appena due anni.
A Guglielmo Raimondo Castello subentrò il figlio Giovanni e attraverso altre dirette successioni, nel 1566 ne divenne proprietario Fernando Castello, signore di Biscari, che fu l'ultimo dei Castello. Da questi, morto senza figli, per linea femminile, pervenne a Orazio Paterno, con la clausola di dovere egli assumere anche il cognome e lo stemma dei Castello (1578).
In seguito divenne proprietà di un ramo collaterale della famiglia e nel 1623 Agatino Paternò Castello ottenne da rè Filippo III di Sicilia, il titolo di principe ed ebbe, per un certo periodo, le funzioni di viceré nella Valle di Noto.
Dopo successivi passaggi ereditari, (va ricordata la figura di Ignazio II, illustre studioso che donò alla sua Catania un ricco museo di rarità antiche) il castello, ricostruito dopo il terremoto del 1693- fu proprietà del principe di Biscari Roberto Paterno Castello Valery. Oggi, una parte è ancora proprietà della famiglia Biscari mentre l'altra metà appartiene ai marchesi Raddusa.
Non è da escludere che vi fosse nel sito del Castello un presistente baglio fortificato, poi evolutosi nella forma del castello-fondaco, un'alta cinta quadrangolare, con torri agli angoli e con diversi ambientei addossati al suo perimetro interno ed affacciantesi sulla corte centrale, destinati ad abitazioni, magazzini per le derrate agricole e ricoveri per gli animali.
L'ingresso principale del Castello doveva allora essere quello nord, direttamente aperto verso il primitivo borgo, edificato contestualmente sullo sperone roccioso, noto come quartiere San Vincenzo, riguardante il fondo valle verso quella contrada Canale-San Biagio, dove cospicue erano le tracce di vita associata già nei secoli precedenti. Dell'edificio tardo quattrocentesco restano la torre di Nord-Ovest e parte della struttura muraria sul lato nord, mentre per il resto si deve pensare ad un inglobamento nelle opere successive. La torre presenta un'alta base scarpata, separata dalla parte superiore cilindrica da uno spesso cordolo. Vi sono visibili alcune feritorie, mentre i finestroni, oggi murati, sono stati sicuramente aperti di età successiva. La merlatura è completamente scomparsa.
Sul grande cortile quadrato troviamo due loggette ed una piccola «angoliera» quattrocentesca. Nella cappella gentilizia, in un sarcofago dietro l'altare, è visibile un corpo che la leggenda vuole sia quello di S. Vincenzo martire il quale, partecipando ad una crociata, sarebbe stato ucciso nel sonno da un saraceno. Una principessa Biscari avrebbe, in seguito, fatto costruire il santuario per custodirvi il suo corpo, trasportato in Sicilia.
Altra versione, meno romanzata, narra invece di un Biscari morto santamente ed onorato con particolare devozione.
Data la collocazione di questa torre, riguardante l'intera valle, ci piace pensare che l'utilizzo come parte della Chiesa di San Vincenzo, di cui oggi costituisce la sacrestia, derivi da una persistenza culturale: era infatti uso che la Torre Mastra dei castelli medievali fosse dedicata alla Madonna (o ospitasse una cappella), affinché proteggesse la fortezza e i suoi abitanti, costituendo l'ultimo baluardo per gli assediati.
Nell'arco di quasi 130 anni che intercorrono tra la fondazione ad opera di Guglielmo Raimondo Castello e l'assunzione della baronia da parte di Agatino Paternò Castello, si succedettero sette feudatari, dapprima della famiglia Castelli e poi dei Paternò Castello, fino al 1622, anno in cui - unica erede - ebbe la baronia Maria Paternò Castello.
All'età di undici anni Maria andò sposa allo zio, Agatino Paternò Castello, che assunse quindi la baronia per diritto maritale nel 1624. Il matrimonio fu concluso nel Castello di Biscari l'8 giugno 1623, il che conferma che esso fosse residenza stabile dei baroni, centro di un vasto e fertile feudo, dove gli usi civici sanciti col diploma regio del 1493, avevano consentito alla comunità di accrescersi, incrementando con suo lavoro le risorse baronali.
Particolare attenzione rivolse quindi Agatino Paternò al feudo: intraprese infatti l'opera di rifondazione del borgo, ribaltandone verso sul lo sviluppo, e di ampliamento del Castello, tanto che nel 1633, completata la ristrutturazione di entrambi, egli ottenne con privilegio del re Filippo IV l'elevazione del feudo a principato.
Il titolo di Principe di Biscari conferiva ulteriore prestigio ad una figura già di grande rilievo nella vita politica ed amministrativa del vicereame, tanto da rivestire importanti cariche a Catania.
L'ambiziono disegno della rifondazione della Terra di Biscari, al centro del quale l'ampliamento del Castello ed il mutamento della sua funzione, fu delineato secondo una concezione urbanistica esemplare, filtrata attraverso l'elaborazione teorica del Rinascimento italiano e la sperimentazione coloniale spagnola nelle Americhe e sancita nella legge di Filippo II del 3 giugno 1573.
La crisi economica e demografica del XV secolo aveva indotto la Spagna a porre in essere un progetto di ripopolamento delle campagne, avvalendosi del ceto baronale. E' significativo che tra i secoli XVI e XVII sorsero in Sicilia ben 130 centri abitati, molti dei quali con impianti urbanistici a maglie ortogonali.
Questo contesto politico, culturale ed economico sta alla base della decisione di Agatino Paternò Castello di adottare per Biscari (come già Vittoria Colonna Henriquez per Vittoria ) l'impianto ippodamèo, concepito unitariamente, con quartieri di case a schiera e talora a corte, e strade ortogonali, in espansione verso l'altopiano a Sud.
Gli stessi edifici monumentali, Chiese (Sant'Agata, San'Antonio e San Nicolò) e Castello, dovevano inserirsi armonicamente, a conclusione scenografica degli spazi, senza interrompere il tessuto urbano, perfettamente omogeneo e continuo, costituito dalle semplici abitazioni dei coloni: la casa contadina urbana ad unico ambiente, la cui tipologia perdutò immutata fino ai primi del 900.
Nella quadreia di Palazzo Biscari a Catania si conserva una grande tela di Autore ignoto, probabilmente del XVII secolo, che raffigura la pianta del borgo ed il Castello sicuramente nella sua conformazione antecedente al terremoto del 1693.
Il Castello vi appare differente dalle forme attuali, anche se l'impianto dell'edificio nella sua globalità rispetta il tracciato ed i volumi preesistenti.
Possiamo dunque dedurre quali furono gli elementi settecenteschi, costituendo il quadro un termine post quem e così delineare l'aspetto del Castello a seguito del rifacimento operato da Agatino Paternò. Sulla quattrocentesca struttura quadrangolare Agatino fece aggiungere verosimilmente due "viridari" (giardini) lungo i lati este (ancora oggi un cortile rettangolare) ed ovest; sempre sul lato ovest edificò la Chiesa di San Vincenzo verso il 1643, di dimensioni inferiori all'attuale, poco più di una cappella nobiliare.
Realizzò su prospetto sud, divenuto quello principale, le due torri quadrilatere; creò quattro ambienti su quattro angoli interni del cortile, (non esistono nel quadro le logge del 1° piano sul cortile, nè il bastione delle carceri).
L'elevazione doveva essere quella attuale, consistenze in un 1° piano (il piano nobile) e di un ulteriore piano ribassato, che hanno mantenuto gli originari ordini di aperture (finestroni al primo piano e finestrelle al 2° piano). La fisionomia del palazzo del Principle in tutte le sue parti doveva essere simile al lato nord: un tanto austero, quanto imponente e nobile Palazzo di Città.
Il terremoto del 1693, avvenuto durante il principato di Ignazio Paternò Castello (successo al nonno Agatino nel 1676), sebbene a Biscari non provocò grandissimi danni e vittime, dovette tuttavia infliggere non lievi ferite agli edifici maggiori: la Chiesa Madre ed il Castello.
Del Castello dovette andare perduta l'intera ala este, la torre dell'angolo nord-este con la contigua parte del lato nord.
Vincenzo Paternò Castello, successo al padre nell'anno 1700, fece anzitutto ripristinare i merli e i parapetti crollati; edificò le carceri in corpo a forma di bastione all'angolo sud-est, proseguendo la costruzione dei "dammusa" lungo il lato est.Nella corte intera vennero creati i due loggiati a tre archi e forse le garitte, identiche nei quattro angoli interni, di cui oggi solo una è esistente.
La modifica settecentesca più importante fu quella della facciata sud, dove le torri quadrangolari e l'avancorpo dell'ingresso vennero compresi nel filo continuo di un corpo basso avanzato basamentale lungo tutto il prospetto, con importante funzione statica di rafforzamenti di muri preesistenti e di raccordo fra le torri. Su questo muro si aprono le finestre dalla sommità ad arco e dalle piatte cornici terminanti in basso a motivo curvilineo. Cornici della stessa pietro di Comiso disegnavano le paraste e gli angoli delle torri, costituendo elemento coloristico, che conferisce sobria eleganza all'insieme. Invariati dovettero rimanare i soprastanti ordini di aperture. L'ingresso principale (portale a cornice piatta con arco a tutto sesto, sormontato da un balcone con portale a timpano spezzato) è probabilmente di età successiva. Dal principato di Vincenzo in poi non vi sono stati interventi di particolare rilievo: il Castello rimase com'era, raggiungendo in epoche recenti lo stato di progressivo e totale abbandono. Il centro urbano continuò a crescere secondo le linee prefissate dal disegno seicentesco.